venerdì 13 maggio 2011

Quando flessibile è l'orario

Il fatto pubblico: E' meglio. E' meglio che sia l'orario a essere flessibile e non il lavoratore: riduce il turn over, migliora la soddisfazione della persona e non si pensa più a cambiare lavoro.

Note schizzate del laboratorio Giocare con i suoni
di linea verde nicolini.
Illustrazione di Caterina Martusciello
E' quanto emerge da una ricerca pubblicata dalla rivista Social Problems. La riprendo dal post di Maria Teresa Veneziani sul blog del Corriere della Sera La 27ora (scritto anche così, la ventisettesima ora).
Pare che l'orario rigido favorisca lo stress e quello flessibile migliori la produttività, insomma faccia bene al lavoratore/lavoratrice e all'azienda.

Il fatto privato: E allora perché, perfino laddove la flessibilità esiste, resistono ancora sguardi imbarazzati tra i colleghi che la invocano? Perché ci si sente sempre un po' in colpa, se si rispetta il proprio senso del dovere e si esce o si entra da soli, fuori dal gruppo?
Se la presenza è un valore, è una minaccia alla produttività e alla salute del lavoratore il corpo inchiodato alla sedia e la mente altrove. Liberiamo l'intelligenza che fa bene a tutti e insegniamo la responsabilità a chi inventa ancora la scusa del dottore per stendersi al sole. Non ce n'è bisogno.

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