sabato 17 marzo 2012

Da piccola volevo un cane

Da piccola volevo un cane, e da grande pure. Andavo in cerca dei randagi e loro sceglievano me, c'erano un'intesa particolare, direi pure un riconoscimento che andava oltre il fatto che loro camminassero a quattro zampe e io da poco sperimentavo le due. Con un cane ho giocato a nascondino, con un altro mi davo appuntamento in spiaggia per portargli da bere dal mio secchiello rosso, a un pastore maremmano ho consumato il pelo tanto l'ho accarezzato. Erano cani di estranei o di nessuno, io li vedevo loro mi annusavano, ci stavamo simpatici, ci sentivamo uguali. E stranamente non riesco a ricordare neanche un episodio del passato in cui mia madre, da sempre terrorizzata del mondo animale, abbia cercato di fermarmi dall'avvicinarmi ai miei amici pelosi: è un suo merito e un mio merito, quello di essere andata oltre le proprie paure e quelle dell'altro.
Da un po' di tempo qualcuno mi ripete, "perché non ti prendi un cane? Il cane è fedele, saresti la persona più importante per lui, ti farebbe le feste quando torni a casa, il cane ti aspetta sempre". Il desiderio che ha accompagnato la mia infanzia e adolescenza nel tempo è sfumato e mi chiedo se sia sfumato quello più grande di prendersi cura degli altri e passare del tempo gratuitamente con loro, sarebbe un grosso guaio. Di solito mi arrabbio se penso che la domanda abbia a che fare con questioni sentimentali non risolte. Oggi forse ho la risposta. Il cane non lo prendo finché non mi passa dalla testa la questione dell'ingombro, del tempo scandito da mille orologi, dalla vita di città, dal preferire i giganti ai piccoli cani da salotto. Finché non ridivento anche io un po' cane, pare assurdo? Capace di stare e di gioire senza volere la ricompensa. Il cane non si prende, si trova, un po' come tutte le faccende legate all'amore, no?

Nessun commento:

Posta un commento