giovedì 12 luglio 2012

Campioni del mondo - seconda puntata

Paolorossi tutto attaccato
Voce maschile:

“Al 56' Paolo Rossi, forse il più contestato di tutti, riesce a mettere a segno il gol del vantaggio italiano. Il sogno è vicino e solo 10 minuti dopo, Conti fa assist a Marco Tardelli, che con un tiro sinistro al volo mette in rete il secondo gol Azzurro”.

E’ pronto!” la voce di mamma ci richiamava alla realtà e il calcio diventava quello del formaggio sulle penne al sugo, nient’altro. Mamma infatti non voleva saperne di catenaccio, tempi supplementari, rimesse laterali, faceva la mamma e un po’ si sentiva come la Madonna a crescere un figlio con un nome speciale. Chissà quale futuro l’avrebbe atteso.

(da microfono, resoconto giornalistico)Voce maschile:

“Altobelli sigla il terzo gol azzurro che mette fine all'incontro. Pochi minuti dopo Breitner segna l'unico gol tedesco, ma le sorti dell'incontro sono ormai segnate: l'Italia è campione del mondo per la terza volta nella sua storia calcistica”.

Fratelli, d’Italia(canta l’inizio dell’inno nazionale)Mio padre me l’ha cantato al posto delle filastrocche per anni e m’è rimasto impresso più delle sigle dei cartoni animati. A scuola ci facevo sempre una bella figura, con gli insegnanti, con i compagni di classe no e con le ragazze nemmeno.


Voce femminile:

“Ci vai alla festa di Laura? Viene pure Paolorossi? Allora io non vengo.
Sei sicura che gli piaccio? Non vengo lo stesso… Ha detto che mi porta la cassetta di Eros Ramazzotti, così la sentiamo in gita. Ma tanto non vengo lo stesso, alla festa. Quello canta l’inno nazionale per i corridoi, chissà se lo bacio cosa può fare!”.


Ma io non volevo fare proprio niente, e di andare in porta con quella che spasimava per Eros Ramazzotti non m’importava niente. Non mi sentivo pronto, non ero allenato a sufficienza, a dirla tutta non mi sentivo un attaccante. Forse ero più portiere, per le attese snervanti, il chewing gum che masticavo e i pali con cui mi facevo lunghe chiacchierate. Ecco, avrei dovuto chiamarmi DinoZoff, tutto attaccato pure stavolta. Ma guai a dirlo a mio padre. Lui al calcio ancora ci credeva e il calcio allora non aveva i fardelli di oggi, contava su Tardelli e la sua smorfia che portava fortuna più di quella napoletana, l’economia era in ripresa, i sindacati litigavano e poi facevano la pace, i partiti lo stesso. Spadolini, Craxi, Andreotti e Forlani erano le facce che vedevo sul giornale di carta che mio padre comprava ogni giorno. Giravamo con una Fiat 127 bianca e andavamo a trovare mia nonna che aveva l’ascensore coi gettoni. Le ragazze portavano le spalline e i capelli gonfiati, i ragazzi avevano i jeans a vita alta e il risvolto a fine gamba. Paolorossi continuava a entrare in campo con il piede destro, a bere Coca Cola e a preferire fegato alla veneziana, ascoltava gli U2 e voleva vivere a Parigi.

Non riuscii mai a spiegare a mio padre e mia madre come mai mi fosse venuta la fissa di Parigi: forse la Tour Eiffel, forse il bacio alla francese, forse la lingua, insomma. Forse la voglia di andare via e basta quando cominciai a capire che dopo un primo tempo da urlo, la mia famiglia nel secondo s’era lasciata andare: mia madre non era riuscita a marcare stretto l’avversario e mio padre meditava di cambiare squadra. Che fare? Formazione, strategia, schema di gioco, allenamenti più duri e intensi, solo che a un certo punto i miei smisero di giocare e si misero in panchina. Mancava l’allenatore, ecco cos’era andato storto. Io avevo avuto Bearzot dalla mia, loro no.

FINE SECONDA PUNTATA

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