domenica 29 dicembre 2013

Lisistrata e la risata delle donne

Coro di vecchi: Che sei venuta a fare con quell'acqua, maledetta?
Coro di donne: E tu col fuoco, vecchia carcassa? Vuoi bruciarti vivo?
Coro di vecchi: No, voglio fare un rogo e bruciarvi le tue tuniche.
Coro di donne: E io con quest'acqua voglio spegnerlo.
Coro di vecchi: Spegnere il mio fuoco?
Coro di donne: Te lo farò vedere subito.
Coro di vecchi: Non so se devo arrostirti sull'istante.
Coro di donne: Se sei sporco, ti farò fare il bagno.
Coro di vecchi: Tu a me, disgraziata?
Coro di donne: Come per una festa di nozze.
Coro di vecchi: Sentite che sfrontatezza?
Coro di donne: Sono una donna libera.
Coro di vecchi: Ti farò smettere io di gridare.
Coro di donne: Non sei mica al tribunale.
Coro di vecchi: Su, bruciale i capelli, torcia.
Coro di donne: Su, acqua, fa il tuo lavoro!
Coro di vecchi: Povero me!
Coro di donne: Era troppo calda?
Coro di vecchi: Ma come calda! La vuoi smettere? Che fai?
Coro di donne: T'innaffio; così rifiorisci.

E poi continua, Lisistrata con le donne greche, a occupare l'acropoli di Atene, a tenere testa agli uomini, a scioperare in amore per dimostrare che la guerra e la violenza fanno male perché privano di ciò che fa bene.

Mi è venuto in mente questo scambio duro e senza esclusioni di colpi verbali leggendo l'articolo di Christian Raimo O ti meno o ti proteggo, che ripercorre i pro e i contro, soprattutto i contro, delle ultime campagne di sensibilizzazione sul tema della violenza conto le donne. D'accordo con lui - quanti disagi vivono gli uomini, con quanta rabbia e violenza implose convivono, quanta educazione sentimentale va fatta, e a me la faccia assolutamente nella parte di Alessandro Gassman (ma non si scrive con una "n" finale, in italiano e non in tedesco, come invece nel manifesto pubblicitario?) dà fastidio e sortisce l'effetto opposto, cioè fuori parte -, non posso non ricordare anche il video della campagna inglese del 2001 We are man. Ecco, fa ridere, fino a un certo punto, e a quel punto le risate precedenti interrotte di colpo acquistano un significato più forte. 

Siete disposti, uomini, a ridere di voi? Siamo disposti a prenderci in giro e metterci a nudo senza violenza? Portiamo i bambini e i ragazzi a teatro a vedere le donne sul palcoscenico che fanno ridere? Mamma e papà all'ora di cena possono scherzare da pari a pari senza mai umiliazione? In ufficio si accetta la collega simpatica con la stessa disinvoltura del collega istrione? 

Scusate il grassetto;-)



Suoni in centrifuga

Un posto che offre suoni e crea nuovi modi di vivere, addirittura.
Ma non è un posto fisico, così come le cartoline che in questi giorni scelgo e ascolto non mi arrivano a casa, compaiono invece come in un puzzle a sorpresa sul mio computer.

Sto parlando di Soundry, un sito in cui è possibile ascoltare, o inviare, cartoline sonore, un regalo di Natale che continua tutti i giorni dell'anno.
Oltre alle cartoline è naturalmente possibile scoprire anche tanti altri progetti sonori che artisti da tutto il mondo - perché di artisti si tratta, mettila come vuoi - realizzano stuzzicandoci l'orecchio e la curiosità.

Buon ascolto.



lunedì 23 dicembre 2013

Pattinare sul ghiaccio, pronti a cadere e a rialzarsi

L'altro ieri ho invitato un amico a pattinare sul ghiaccio. L'ho fatto senza pensarci, me ne scuso. L'ho fatto perché mi piace, l'amico e il pattinaggio sul ghiaccio. L'ho fatto perché in tv stavo vedendo una delle tante commedie di Natale made in Usa, tutte bontà e colori rosso e bianco, e la protagonista si infila i pattini e fa qualche piroetta. Insomma, un invito non ha bisogno di giustificazioni, anzi, non era neanche un invito, perché io a pattinare ci andrò a prescindere. In compagnia però può essere più divertente, soprattutto se non si è capace, e parlo per me.

Ma ecco il problema: l'invito è stato educatamente accolto ma altrettanto educatamente non troverà seguito perché il ragazzo non sa pattinare e, diversamente da me, considera questo un bell'impedimento tanto da dirmi che essendo stato in pista solo una volta... no, forse non si potrà fare.

Non me me vorrà se lo prendo come esempio - me ne vorrà invece, ma fa niente - per riflettere insieme su come la testa a volte frena il desiderio che parte dai piedi, un po' come accade a chi non balla per scelta di vita ma che passa la serata a muovere le dita, dei piedi e delle mani, battendo il tempo o che non canta ma canticchia la melodia che già sa a memoria e che, no, sono stonato, la mia voce non te la do neanche se mi strappi le corde vocali.

Ci avete fatto a caso a quanti freni mettiamo a quella voglia improvvisa di muoverci e metterci alla prova proprio su strade che non abbiamo mai percorso? E' la tentazione di tirarci su e magari inciampare e poi invece si rimane col sedere attaccato alla sedia, al divano, al ghiaccio se siamo caduti. Magari! Vorrebbe dire che abbiamo tentato. Certo, poi c'entra anche il fattore età: pare che dopo i trenta, ma forse anche prima, nessuno possa più permettersi di sbagliare ed essere imperfetto, poi magari si ricomincia coi tentativi dopo i cinquanta, quando certe inibizioni si sono sciolte in una risata e si fa di nuovo gruppo più facilmente. Chissà.

Gli inviti si fanno per le cose che ci fanno stare bene, contengono tanto egoismo quanto dono.
Sono stata a pattinare sul ghiaccio pochissime volte e uso il verbo "pattinare" impropriamente, visto che l'azione che compio è stare attaccata al corrimano, lasciarmi andare e forzare il compasso fino a raggiungere il centro, lì sentirmi smarrita ma tanto felice. Chilometri di autostima che va in pezzi e si ricompone finché reggono le gambe e il fiato.

Ovviamente non ho considerato che il ragazzo in questione non sia interessato non tanto all'invito quanto a chi l'ha fatto, del resto non avrei potuto altrimenti scrivere questo invito e questo augurio di Natale a tutti noi, me compresa: trovare la propria pista di ghiaccio e pattinare "così come viene". Proprio così ho detto, "così come viene", senza ansie di nessun tipo, nessuna aspettativa, solo i rossi in faccia, pronti a cadere e poi rialzarci. Ecco, è anche l'augurio per il 2014.

Buon Natale e buon anno nuovo.


giovedì 19 dicembre 2013

Le formule degli auguri di Natale

Si arrovella l'azienda nel cercare la formula d'auguri che includa i cristiani ma non faccia danni alle relazioni con coloro che professano altre religioni, si chiede l'inquilino italiano se debba fare gli auguri al vicino di casa egiziano per cui forse è Natale anche per lui, magari spostato un po' in avanti nel calendario che conosciamo, rivendico anche per me i dolci e dolcetti che la collega tanto devota ha regalato negli anni ai ragazzi mentre per le ragazze dello stesso ufficio ha preferito libri di stampo religioso.

E' buffo il Natale quando mette a nudo il politically correct nostrano e ci permette di riderci su.

Il Natale però esiste non solo in Italia e non solo in Europa: diverse e simili sono le usanze sociali e religiose che arrivano in Giappone, in India. In Germania e nell’Europa del Nord l’albero di Natale e le luci che ci piacciono tanto derivano dalle feste pagane, in primis da quella che saluta e ringrazia il sole. Esiste se siamo cristiani, e ricordiamo perciò la nascita in Medio Oriente del bambino ebreo “figlio di Dio”, esiste se lo identifichiamo col cappello rosso e la faccia barbuta e rubiconda del vecchietto che è finito in America e tornato in Italia distribuisce ancora regali ai bambini, e pensare che era partito come san Nicola, e non era ciccione.

Auguri natalizi -
fonte, islamitalia.it
Abbiamo ogni riferimento “scientifico” per scrivere e per dire la parola "Natale" negli auguri che ci scambiamo, del resto lo facciamo spontaneamente senza chiederci se crediamo a “quel” bambino – ma a un bambino che nasce ci crediamo sempre anche se non è Salvatore, prova è la sua esistenza e i nostri sorrisi sempre un po' beoti davanti a un neonato –, oppure se preferiamo le lucette sul balcone o se siamo più per il presepe o l’abete, di plastica o quello vero.

E allora buon Natale con buona pace di chi vive un’altra religione, di chi la questione non se la pone proprio, di chi in nome di una religione muore, di chi si ostina a fare regali sbagliati, di chi non vede l'ora di andare in ferie, beato perché ha un lavoro tra molti che non ce l'hanno o non ce l'hanno più.

Tempo fa la semiologa Giovanna Cosenza a proposito del politically correct sul suo blog scriveva: “Una società non diventa più rispettosa dei disabili (handicappati?) se li chiama non vedenti, né i privilegiati diventano più rispettosi di chi fa lavori umili se dicono operatore ecologico, collaboratrice domestica e così via. Analogamente, un omofobo resta omofobo anche se dice gay invece di frocio”.

Se in vino stat veritas, le parole “morbide” o tra virgolette sono come il vino a cui aggiungi l’acqua: perde sapore e verità. Perdono identità. E quando perdi identità il rischio è che perdi pure il rispetto degli altri.

Eh eh, allora anche “Auguri e figli maschi” potrebbe essere considerato un invito alla fecondità che discrimina le donne e le coppie che magari non possono avere figli. “Incrociamo le dita” non lo puoi dire senza aver prima controllato che il tuo interlocutore le abbia tutte. E per ricordare il giorno della propria nascita non basta un generico e onnicomprensivo auguri, ma si pretende “buon compleanno”.

Come dire, la sensibilità è materia sensibile che passa anche per una semplice frase di auguri. E visto che ogni anno è sempre Natale, mi chiedo perché non ci prepariamo per tempo per creare formule di auguri che siano sincere e non inattaccabili e per questo fredde e fasulle. Comincerei per esempio evitando il congiuntivo, perché il congiuntivo si porta dietro frasi come "... Che il tuo cuore possa aprirsi alla gioia", "che la serenità avvolga la tua casa e la tua famiglia", userei piuttosto l'indicativo per fare un invito "Oggi pranziamo insieme, vieni?" E mi scoccia un po' che in questi giorni me l'abbia rubato il Papa.




mercoledì 18 dicembre 2013

Ancora sulle lingue

Bene, in questi giorni di rigurgito linguistico dentro di me - vedi i post precedenti - e quindi di appassionante riscoperta dell'importanza di muoversi tra le lingue per arricchire la propria personalità e la propria identità - non sarei me stessa senza poter parlare anche in tedesco, senza voler imparare qualche parola in turco prima di andare a Istanbul e di polacco prima di andare a Varsavia, e le presunte difficoltà neanche le considero - ecco l'articolo di Anna Maria Testa Perché due lingue sono meglio di una su Internazionale che mi conforta e mi preoccupa un po'.

Mi conforta perché "considero valore", facendo il verso a una nota poesia di Erri De Luca, riconoscere ed esprimersi in lingue diverse dalla propria, mi preoccupa perché mette insieme plurilinguismo e bilinguismo, il primo faccenda storica, il secondo anche solo frutto inconsapevole di una scelta d'amore.

Le nazioni moderne sono nate con lo stabilizzarsi di una lingua sulle altre lingue grazie alla stampa e alle convenienze commerciali, averne una come riferimento era utile e funzionale alla formazione di una comunità riconoscibile. Nella ristretta comunità di una famiglia in cui lui è austriaco e lei italiana e che vive a Barcellona - prendo come esempio una coppia di amici - chissà in quale lingua si esprimerà il piccolo nato, probabilmente in catalano riconoscendo i suoni di entrambe le lingue di provenienza dei genitori e scegliendo poi quella che risulterà funzionale, che non vuol dire solo utile, alla sua vita. O forse no, le scelte sono più fluide anche se mai senza difficoltà.

Conoscere due lingue anziché una sembra sia sempre un vantaggio, dai link e dai dati che riporta Testa nel suo articolo, io vorrei aggiungere che anche se i nostri genitori parlano una lingua soltanto e siamo cresciuti nella piccola Italia, riottosa a imparare e parlare bene anche solo l'inglese, possiamo farcela, possiamo gustare le lingue degli altri aprendo il cervello a suoni ed esperienze diverse dalle nostre.

Mi vengono in mente i bambini Saharawi che conosco d'estate in un programma di accoglienza e ospitalità: invasi dal Marocco nel 1975, già colonizzati dagli spagnoli, accolti in Italia e Spagna ormai da anni e da Cuba con la scusa di formazione universitaria, a contatto col francese di Algeri visto che il campo profughi più grande che li accoglie, Tindouf, è in territorio algerino, si esprimono in arabo hassania che non è l'arabo che ti insegnano i vicini di casa egiziani o l'università, eppure. Eppure capiscono le altre lingue e l'italiano lo imparano facilmente e bene, e i loro genitori dalla forte identità culturale hanno nel loro vocabolario lo spagnolo e il francese e li usano all'occorrenza, senza far confusione di quale sia la loro lingua identitaria e perché ci rimangono attaccati pur vivendo nella modernità di una città-tendopoli di cui il mondo poco o niente si interessa.





domenica 15 dicembre 2013

I nomi degli operai cinesi

Ieri scrivevo che la conoscenza delle lingue permette di conoscere e capire meglio gli altri, altre culture, di scoprirsi più curiosi, e lo facevo a partire dal libro L'identità di Amin Maalouf, che risale al 1999 ma che vale sempre, come ogni buon libro che parla dell'essere umano, prima di tutto.

Del resto imparare una lingua è un'andata e ritorno: si va verso un altro paese, si provano modi di dire e di essere, si tenta un viaggio, poi magari un altro, si conosce una persona, magari più di una, si torna da dove si è partiti e si ricomincia. Si può cominciare dall'alfabeto oppure dal viaggio e da un piatto tipico, l'importante è lasciarsi sporcare, e qualche suono resta dentro.

Ora leggo nel tumblr del giornalista Dario Di Vico che finalmente sappiamo i nomi degli operai cinesi morti nell'incendio del capannone a Prato lo scorso 1 dicembre. Anche se non conosciamo il cinese e sbagliamo la pronuncia, riscriverli è come ridargli dignità e sepoltura.

Dong Wenqiu anni 45 uomo
Su Qifu anni 43 uomo
Xue Xieqing. Anni 34 uomo
Wang Chuntao. Anni 46 donna
Rao Changjan anni 42 uomo
Zheng Xiuping. Anni 50 donna
Lin Guangxing anni 52 uomo



Il senso delle parole e quello dei fatti

Be', l'editoriale di Eugenio Scalfari di oggi non potevo non leggerlo, se non altro per il titolo "Un paese che perde il senso delle parole" e poi ero sicura che avrebbe aperto con qualche riferimento alla Bibbia e avrebbe chiuso con l'Europa. Non sono una strega e non leggo spesso quello che scrive Scalfari, ma un po' sì e poi in questi giorni di forconi da qualche parte bisogna pur ricominciare, e la Bibbia e l'Europa sono sempre buone basi per ancorare i propri discorsi, anche se io a volte, per rispetto, lascerei stare entrambe, guarda un po'.

La domanda, anzi le domande sono, perché bisogna ricominciare ogni volta, perché i "forconi" ora, perché non ripartire dallo scontrino fiscale che i negozianti a me non vorrebbero fare? Perché non riesco a trovare sui giornali di oggi la cifra drammatica dei Neet italiani che ho sentito ieri in radio, mi pare il 27% di giovani fino a 34 anni di età che non lavorano né studiano?

Cosa ho capito del movimento dei forconi è l'analisi del giornalista Lee Marshall che condivido, lo scontrino lo esigo e ogni volta inizia il teatrino col negoziante dalla memoria a brevissimo termine, dentro i Neet non c'è nessun amico o familiare che conosca ma non per questo mi sento bene, anzi molto in affanno a vivere in Italia ma anche il resto dell'Europa non mi dà sicurezza, la Bibbia se voglio la leggo per conto mio.

Buona domenica:-)


sabato 14 dicembre 2013

Lingua globale e lingua identitaria. Bisogna andare oltre

"Perché una persona possa sentirsi a proprio agio nel mondo d'oggi, è essenziale che non sia costretta, per penetrarvi, ad abbandonare la propria lingua identitaria. Nessuno dovrebbe essere obbligato a "espatriare" mentalmente ogni volta che apre un libro, ogni volta che si siede davanti a uno schermo, ogni volta che discute o riflette. Ognuno dovrebbe potersi appropriare della modernità, invece di avere di continuo l'impressione di prenderla a prestito dagli altri.
Inoltre, ed è questo l'aspetto che, a mio avviso, merita maggiormente di essere sottolineato al giorno d'oggi, la lingua identitaria e la lingua globale non bastano più. Per tutte le persone che ne hanno i mezzi, e l'età, e le capacità, bisogna andare oltre".

Lo scrittore libanese Amin Maalouf si riferisce all'inglese lingua globale e a qualsiasi lingua identitaria di un popolo, ma poiché l'identità è mobile e mutevole e composita si riferisce anche alle lingue che bisognerebbe imparare per sentire gli altri più vicini e sentirsi più immersi nel mondo. Dico io, come il cinese per capire i nuovi vicini di casa o la recente tragedia a Prato, come il turco per capire le ragioni di una protesta.

Difficile? Inutile? Impossibile? Oppure divertente, affascinante, utile? Non si perde nulla a scoprire  come si esprime un'altra persona, consapevoli di come ci esprimiamo e di ciò che siamo, senza false paure.

"L'identità di una persona non è una giustapposizione di appartenenze autonome, non è un "patchwork", è un disegno su una pelle tesa; basta che una sola appartenenza venga toccata ed è tutta la persona a vibrare.

Buffo ritrovare L'identità di Amin Maalouf per un nuovo progetto radiofonico, lo stesso libro con cui dodici anni fa entravo in radio per un programma sulla multiculturalità. Lo capisco meglio ora di dodici anni fa.





sabato 30 novembre 2013

"Ripartirei dalle cose, non dalle parole"

Tullio De Mauro a Otto e mezzo ricorda che "non solo per i politici, ma per la classe dirigente, era meglio un discreto tasso di analfabetismo". L'Italia non investe sulla scuola e la figura del docente è bistrattata, invece bisognerebbe ripartire da lì, con investimenti sulla sua formazione.

E allora la domanda della prof di lettere al liceo non sarebbe più "Vuoi studiare letteratura? Per ridurti a fare l'insegnante!?" ma diventerebbe l'esortazione "Studiate ragazzi, diventate bravi in qualunque campo e passate quello che sapete agli altri!"
Ecco, io penso che la colpa italiana sia stata e sia ancora l'egoismo. Che significa la propria raccomandazione al lavoro così come i compiti copiati a scuola e all'università, che significa un lavoro sudato a tutte le ore e nessuna ora disponibile per gli altri, quelli che un lavoro non ce l'hanno così come non avevano ieri un banco in cui sedersi. Che significa che se sei a posto tu, se hai preso un buon voto, allora il mondo gira per forza per il verso giusto.

Ci sono così tante affinità, da sempre, tra la scuola e il lavoro, che a volte perfino i miei colleghi li vedo come forse erano trenta anni fa, alcuni anche di più. Non direi loro niente, così come non lo dico ora, ma farei mie le parole di De Mauro stasera: "Ripartirei dalle cose, non dalle parole".

Quindi i compiti in classe non si copiano ma si preparano prima, quindi i banchi ci sono per tutti e non solo per chi paga, quindi i banchi non si sporcano ma se ne ha cura. Quindi basta parlare di lavoro, classe dirigente che ignora le storie contigue di una medietà che è diventata mediocrità dilagante.


sabato 16 novembre 2013

Registrare, un rimedio contro il mal di schiena dei piccoli e dei grandi

Dunque, i bambini hanno il mal di schiena perché passano troppo tempo seduti in compagnia di pc, tablet e videogiochi. Non lo ammettono facilmente ma i ricercatori del centro ospedaliero dell'università Abertawe Bro Morgannwg (Galles) ne hanno analizzato un piccolo campione di 200, tra i 7 e i 18 anni, e dai dati è emerso che il 64% dei ragazzi di età compresa tra gli 11 e i 18 anni soffre di mal di schiena.

Il paradosso è che se negli zaini portassero comodi tablet anziché pesanti libri di testo il problema del mal di schiena per il trasporto potrebbe essere superato, rimarrebbe il mal di schiena causato dal troppo tempo seduti anziché in movimento.

L'homo technologicus inizia da piccolo le nuove abitudini della specie, compresa la sedentarietà.
Un rimedio, oltre alle corse e al pallone, alla natura e agli animali (ma ai bambini di oggi fanno sentire l'odore delle capre o conoscono virtualmente solo le specie più rare del mondo sottomarino?) è la registrazione di storie.

Girare con un registratore, avvicinare le persone di famiglia, farsi raccontare delle storie e prima di tutto ascoltare è un movimento, semplice e importante.
A Kid's Guide to Recording Stories è un regalo originale che i genitori potrebbero inventarsi e vivere insieme ai figli. Mio papà lo faceva e "per colpa sua" m'è rimasto il gusto di microfono e registrazioni.

Leggetevi tutti i punti di questa simpatica guida a cura della giornalista e scrittrice Katie Davis pubblicata sul sito Transom.org, provate a usarla nel vostro quartiere, nella vostra cerchia di genitori in movimento o con i ragazzi più riottosi: funziona e vi divertirete tanto insieme.



giovedì 7 novembre 2013

Souvenir speciali, il suono del lavoro

Cosa potrei lasciare come ricordo ai miei amici austriaci quando verranno a trovarmi a Roma? Conoscono già la città, sono ghiotti di parmigiano, amano camminare, tanto, e fare le foto. Amano di più ascoltare e per questo per loro preparerò un cd con i più suggestivi e particolari suoni della città: quelli di ambiente e quelli delle persone al lavoro, al bar con gli amici, al parco e sul tram, vicino ai monumenti famosi.

Non è un'idea particolarmente originale, ma un po' creativa sì. Gli spunti sono tanti, ultimamente questo in particolare. Si tratta del progetto che raccoglie i suoni di 21 botteghe creative e storiche dell'East London, da quella dove si fabbricano occhiali a chi fa le scarpe a chi accorda una vecchia campana.

Il progetto si chiama Sounds of making ed è un inno all'ascolto dell'uomo artigiano. E' un disco in vinile, ecco il souvenir originale, e un sito web con foto, estratti audio di interviste e registrazioni dei suoni di ciascun lavoro. Un bel regalo, una bella ispirazione.



mercoledì 6 novembre 2013

Pappette o shopping sfrenato? In Italia la crisi è sull'oppure

L'identità lavorativa passa per l'identità di genere? Se sì, dentro l'identità di genere devo mettere anche quella che sui documenti d'identità dice coniugata o libera? ... Come se poi coniugata prevedesse solo catene.

Quando sul lavoro discuto la creatività di una locandina o su chi debba andare a fare un'intervista o come scrivere o rivedere un pezzo non mi viene mai in mente di controllare se chi ho di fronte porta la gonna o i pantaloni, e scusate la dicotomia vecchio stile, mi sembra ultimamente quella che ancora regga. Non controllo neanche l'età, a dire il vero, e se devo valutare la voce, solo alla voce faccio attenzione.

Ho appena finito di leggere questo post e ripenso a certe chiacchiere in ufficio, a certi stili e a immancabili confronti fra colleghe e fra colleghi: che senso ha giocare a scambiarsi identità passando fra lo status di mamma a quella di single o anche viceversa, come nell'articolo del blog La 27Ora? A parte il rilassante pezzo di costume di Michela Proietti, centrato va be' solo sulla sua esperienza di giornalista che può permettersi di svegliarsi tardi la mattina, sorseggiare il caffè e correre nel parco - mi piacerebbe tanto poterlo fare ma ultimamente mi sono "concessa" la sveglia alle 6.30 per poter avere la corsa nel parco la sera, però -, non credo che le persone vadano alle mostre o facciano shopping perché single così come non tutte le mamme sono isteriche e dimentiche della loro vita prima di avere i pargoli accanto. Tendenzialmente, intimamente si resta come si è: scontente e lamentose con o senza fede al dito e figli a carico, scusate il linguaggio brutale, curiose e leggere prima e dopo o a prescindere da pappe e pannolini. 

Io le persone, a cominciare da me stessa, non riesco proprio a viverle in base a categorie di riferimento, perché non sono categorie, semmai riferimenti utili solo per capire chi viene al cinema con me se chiamo all'ultimo minuto.

Ah, poi ho letto pure questo, che merita un approfondimento.


venerdì 1 novembre 2013

Il Papa al Verano e l'audio fa cilecca

Ho visto gente che urtava corpi per prendere il corpo e lasciare lo spirito.

Ho visto la pubblica sicurezza che si faceva gli affari privati. 

Ho giocato con uno scarafaggio, ho scambiato il numero di telefono, incontrato un'amica, pestato un piede e l'ho fatto apposta. 

Ho pensato che chi ha curato l'impianto audio andasse buttato fuori, oppure lasciato dentro. Al cimitero Verano, dove papa Francesco ha celebrato la Messa per la festa di Ognissanti

Un momento della registrazione di oggi pomeriggio, quando qualcuno si è finalmente accorto che a parte le giacche e cravatte scure delle prime file, le persone colorate dietro non sentivano nulla. E si facevano sentire.




giovedì 31 ottobre 2013

L'officina bella e la protesta della gente della GDO

La foto qui sotto non rende giustizia alla colorata e ordinata officina meccanica di via del Porto Fluviale a Roma.

Oggi pomeriggio passeggiavo da quelle parti e sono stata attirata dal celeste del mobile che mi sembrava quello della nonna, di mia nonna. Contiene ed espone i ferri del mestiere, che per ciascun mestiere mi riempiono di orgoglio come se li maneggiassi io. Poi è uscito il proprietario, proprio poco prima dello scatto, gli ho chiesto il permesso di fare una foto e lui mi ha detto: "Un'altra? E' da quando ho ristrutturato e riverniciato che passano, si fermano, fanno le foto".




E' perché il bello e buono piace, ci attira ancora, non vogliamo rassegnarci a ciò che è ovvio.

Nel frattempo a viale Marconi i lavoratori della SMA Simply protestavano per la chiusura di tre supermercati.




sabato 26 ottobre 2013

Perché rispondiamo al telefono

Rispondiamo al telefono perché siamo educati, perché siamo curiosi, perché ci stiamo annoiando, perché "una telefonata salva la vita", almeno fino all'attimo prima di riceverla. Poi succede che ci annoiamo, che la curiosità non ricordiamo di averla avuta, che diventiamo perfino maleducati.

Nell'articolo di Michela Proietti sul blog La 27esima ora del Corriere della Sera vengono tracciate ipotesi e certezze sul perché non rispondiamo più al telefono, e spesso questo dipende dall'investimento emotivo e temporale che vogliamo evitarci, sovraccarichi come siamo di stimoli comunicativi.
Non è solo lo smartphone a dover essere ricaricato più volte al giorno, aggiungo io, ma il nostro cervello soprattutto. Solo che il cervello, anzi l'intero fisico, vorrebbe essere ricaricato in altro modo.

Nella settimana appena passata io l'ho fatto indossando la tuta e correndo nel parco vicino casa. Niente di serio e tanto sudore, poco allenata ma decisamente felice di avere problemi col cellulare e anche senza averli di lasciarlo a casa preferendo il prato. Sconvolta quando l'ho riacceso e da un posto lontano della mia città colleghi e colleghe d'ufficio mi gridavano scandali, power point, password e presunti amori. Insomma tragedie. Lo stesso facevano amici e familiari: dove sei? cosa è successo?

Insomma, cosa dobbiamo fare? Ho passato il pomeriggio a copiare su un'agendina di carta i numeri di telefono recuperati, mi faceva male la mano ma ho seguito il consiglio del mio amico tedesco vecchio stile: "Comprati un block notes, la carta dura 100 anni almeno, ogni scheda elettronica 10 anni se va bene". L'idea di essere uscita di scena mi piaceva, però. Vediamo come mi cercano e chi lo fa per davvero, incurante di perdere per strada contatti importanti. Un brivido di eccitazione, questo tentativo non voluto ma necessario di isolamento e recupero di energie.

Devo ammettere che a me la conversazione telefonica non è mai piaciuta, né col vecchio e pesante telefono - a casa ho il modello antico a disco, senza display, senza segreteria e per questo ogni telefonata è una sorpresa, anche se riconosco i suoni dei numeri affezionati - né col più piccolo e leggero cellulare o smartphone onnicomprensivo. Anche se la voce è un fatto intimo e già dice tanto, ho estremo bisogno di passare alla vista, soprattutto se una persona la conosco già e voglio toccarla e annusarla. Voglio cioè sentirla vicina, altrimenti non la chiamo neanche, non rispondo al telefono, non ricopio il suo numero sull'agendina di carta.

Ecco, rispondere o meno al telefono è tutto qui: per qualcuno ci sono sempre e in qualsiasi modo lo ricerco, per qualcun altro resto in tuta tutto il giorno a correre nel parco, senza fiato ma finalmente libera. L'ho fatta troppo facile?


sabato 19 ottobre 2013

Suoni e luci del lavoro

Queste sono alcune foto della protesta di oggi a Roma.
La mia è una città che accoglie, le proteste civili e sacrosante, così come la violenza dei violenti che s'infiltrano e distruggono, così come l'indifferenza di chi sta alla finestra e vuole che niente cambi. Riuscirà a mai a scegliere una volta per tutte se dormire o svegliarsi dalle fatiche quotidiane? Riuscirà a non essere solo una piazza ma un centro davvero pulsante di iniziative belle?

Propongo per Roma un'altra forma di protesta che passa per la bellezza.
Lo faccio con le foto dell'artista canadese Patrick Rochon che ho visto in azione all'evento TEDxtrastevere di mercoledì scorso. 

Ho catturato i suoni del suo lavoro, perché come lui dice "To me, light painting is an expression of our true selves. Through science, we now know that our bodies emit light. So in a way, we've been and are constantly light painting, leaving a trace of light behind". Ma siamo anche suoni;-)



martedì 15 ottobre 2013

Il fischio del merlo

Italo Calvino
"Presupposto di questi scambi verbali è l'idea che una perfetta intesa tra coniugi permetta di capirsi senza star lì a specificare tutto per filo e per segno; ma questo principio viene messo in pratica in modo molto diverso dai due: la signora Palomar s'esprime con frasi compiute ma spesso allusive o sibilline, per mettere alla prova la prontezza del marito e la sintonia dei pensieri di lui con quelli di lei (cosa che non sempre funziona); il signor Palomar invece lascia che dalle brume del suo monologo interiore emergano sparsi suoni articolati, confidando che ne risulti se non l'evidenza d'un senso compiuto, almeno il chiaroscuro d'uno stato d'animo".

Lo scriverei tutto per filo e per segno, Il fischio del merlo, capitolo sul paesaggio sonoro, rapporti di coppia, silenzio e parola in Palomar di Italo Calvino. Che oggi avrebbe compiuto 90 anni, buon compleanno.



venerdì 11 ottobre 2013

Scuole di facciata

La prossima settimana partecipo a TEDxtrastevere, occasione di incontro e ascolto su idee legate al tema dell'acqua risorsa vitale. L'evento segue le famose TED talk, le chiacchierate argute e motivanti di esperti e appassionati di vari settori, non più e non solo Technology, Entertainment, Design.

Ecco, caso mai uno si chiedesse se ho paura e temo di non essere all'altezza. Risposta, ho paura e temo di perdermi per strada anche se la strada la conosco, è al centro di Roma, conservo i suoni che la caratterizzano.

Senza anticipare nulla, ché le sorprese mi piace riceverle e anche farle, e soprattutto perché il programma non è ancora uscito, accenno solo che parlerò di scuola e di ascolto e di un'esperienza particolare di ascolto a scuola.

Forse proprio perché sono concentrata su questi temi, stamattina andando al lavoro non ho potuto fare a meno di osservare con ancora più attenzione del solito le scuole che stanno sul mio percorso: quattro di cui una elementare, due istituti tecnici, un liceo mi pare linguistico. Tre di periferia, una frequentata da Suv. Tutte e quattro sono brutte, soprattutto i casermoni grigi dei due istituti tecnici: sono già bravi i ragazzi a decidere di entrare ogni mattina in quello che sembra un carcere con le sbarre alle finestre e mi stupisco che non ci siano scritte e disegni a dargli un po' di colore. Peccato non aver fatto una foto.

Poi mi ha attraversato davanti un ragazzino assonnato con le cuffiette nelle orecchie: ho approfittato delle strisce pedonali per non farmi gli affari miei e dalla macchina incitarlo ad andare a scuola con più energia, chissà se il gesto sarà stato interpretato bene, oso dire di sì. Perché il ragazzino stava entrando in una scuola più bella, la quinta nel mio viaggio casa-lavoro, e delle facciate tinteggiate, del giardino con le piante e qualche fiore devi essere grato, contento, felice e ringraziare.

"Non garantiamo che al termine di TEDxTrastevere il pubblico sia totalmente soddisfatto, non è questo il nostro obiettivo. Siamo alla ricerca di idee, di storie che possano ispirare nuovi progetti, capaci di trasformare positivamente diversi scenari del mondo contemporaneo, secondo lo spirito del TED".

Quasi quasi cambio il tema del mio intervento e parlo delle scuole che hanno rinunciato ad avere una faccia ma si accontentano di una facciata, brutta (e parlerei delle scelte e non scelte scellerate sulla scuola da molti anni a questa parte). Mi auguro che là dentro, comunque, insegnanti e studenti facciano succedere cose belle.



giovedì 3 ottobre 2013

Il suono dell'attesa

Finalmente lo posso rendere pubblico, il mio primo "cortoascolto" che è sbarcato a Berlino la scorsa settimana e che nel frattempo avevo preparato anche in italiano. Ma ci tengo a dire che se il testo è nato  in italiano - diamine, come si fa a tradire già nel pensiero la propria lingua madre? - la confezione dell'opera è tutta tedesca: il ritmo della musica, lo stacco tra le parti, la necessità di un "lieto fine" già per questo provocatorio, le parole e la voce che ce le racconta.

Di cosa parla? Es geht um die Erwartung... gira intorno al senso dell'attesa, che non per forza coincide con l'incertezza tratto tipico della realtà moderna. L'attesa al contrario può essere la salvezza proprio dall'incertezza e dalla precarietà se viene riempita di senso da scovare e da non dimenticare quando, oppure se, giunge a un termine.

Che suono ha l'attesa, dunque? Es hängt davon ab, dipende. Ognuno ha la sua, ognuna ha il suo.
Ecco, entrambe le versioni sono ora su soundcloud.com:


E grazie a chi ha aspettato con me: Christoph Hülsen, la voce tedesca; Andrea Martella, la voce italiana; Sergio De Vito, la musica.





mercoledì 2 ottobre 2013

A scuola di ascolto

Dunque, dalla trasferta di Berlino mi porto dentro la luce particolare della città in cui faceva freddo ma le cuffie mi hanno riscaldato abbastanza. Mi porto dietro anche l'improvvisata spiegazione che ho dato a un pubblico attento e curioso del mio tedesco sulle diverse abitudini di ascolto fra Germania e Italia. Qui in Italia chi di noi racconta ai bambini le storie, compra e ascolta audiolibri, partecipa il sabato sera a festival come il Berliner Hörspielfestival? In Germania succede, il genere esiste, le radio ci investono. Non che voglia fare un confronto che arrivi a far aumentare lo spread, sia mai, ma i punti interrogativi italiani di fronte alle pratiche di ascolto nella Germania in cui sono stata sono al più punti esclamativi, solo questo.

E allora torno a Roma, riassaporo il caldo, sui mezzi pubblici incontro le facce dei ragazzi che vanno a scuola e a cui capita di incontrare anche loro, i Piccoli Maestri. Beati loro, gli scrittori che vanno in classe a leggere il libro del cuore per far nascere la passione della lettura, beati i ragazzi che ricevono il dono comunque vada a finire, beati i maestri stessi, cioè gli insegnanti che aprono il programma didattico ad altro che è la base del programma stesso.

"Ognuno di noi ha scelto un libro che ama, quello dal quale magari tutto è partito, quello che ci ha fatto capire che stavamo sbagliando tutto, quello che per la prima volta ci ha fatto domandare «chi sono io?». O molto più semplicemente il libro che più ci ha fatto ridere, o piangere, o saltare sulla sedia".

Ecco, copio dall'articolo di Emilia Zazza sul Corriere di ieri la spinta a entrare in classe, ognuno ha la sua e non per forza il suono è quello della campanella, e partecipare alla costruzione della propria identità e di quella degli altri. Loro saranno pure beati ma si danno da fare per sé e per gli altri, forse sono beati proprio per questo. 

In questo inizio di ottobre e dopo le prime settimane di scuola tanto vale dircelo subito se siamo disposti a impegnarci per far emergere passioni e speranze, a dispetto di chi ci vuole guerrieri o scansafatiche.




sabato 21 settembre 2013

Wie klingt die Erwartung? Un cortoascolto a Berlino

La settimana prossima vado al Berliner Hörspielfestival, il festival dedicato agli audio drammi, lunghi o corti, originali e che non seguano commissioni o convenzioni radiofoniche. Insomma, a tema libero esprimetevi come volete. E così ho fatto, qualche mese fa, preparando il primo "cortoascolto" dedicato all'attesa. Si chiama Wie klingt die Erwartung? (Che suono ha l'attesa?), dura 4:58, concorre per il Premio ‘Das glühende Knopfmikro’ e, dopo aver passato la selezione della giuria interna, verrà votato dal pubblico in sala nella serata del 27 settembre presso il Theaterdiscounter di Berlino, Klosterstr. 44. Eh già, perché si tratta di un'importante occasione di ascolto collettivo senza cuffie, ad orecchie aperte anzi apertissime.

Finora non sono riuscita a capire quale suono possa avere l'attesa, per questo in cinque minuti propongo flash su esperienze diverse accomunate da un unico leit motiv incalzante: non sprecare il tempo che passa, l'attesa non sta in mezzo a un prima e un dopo ma è il presente che ha valore. Tutto qui, sembra semplice, è difficilissimo.


Non vedo l'ora di farvi ascoltare l'originale tedesco con la voce di Christoph Hülsen e la versione italiana interpretata da Andrea Martella. La musica è quella di Sergio De Vito.

Non vedo l'ora di farvi ascoltare successivi "cortoascolti", sonore pause nelle giornate di fretta che viviamo, immersioni brevi nei temi più cari e comuni con cui ci confrontiamo. Un pizzico di letteratura, quel che basta per salvarci la giornata:-).

E scusate per questo post spot promozionale: non sapevo come altro dirvi che sono contenta che il mio pezzo sia stato selezionato e che se siete a Berlino sarebbe bello incontrarci al Festival.






domenica 15 settembre 2013

Mondoascolti a Ferrara

Mondoascolti è il nome della rassegna di audio documentari che il festival Internazionale a Ferrara insieme all'associazione Audiodoc propone dallo scorso anno.

Nelle giornate di incontri con giornalisti, artisti e scrittori provenienti da tutto il mondo e oltre alla rassegna Mondovisioni dedicata ai video documentari, la vocazione internazionale della rivista e la specificità dell'associazione di audio documentaristi creano uno spazio e un tempo dedicati all'ascolto.

L'ascolto collettivo delle più interessanti produzioni nazionali e internazionali.
Nel programma completo del fine settimana ferrarese dal 4 al 6 ottobre e nei link trovati su internet e nelle riflessioni con gli amici di Audiodoc continuo a pensare che ne valga la pena.

Mi spiego: al di là dei temi proposti, al di là della lingua dell'audio documentario (sottotitoli e script in italiano comunque disponibili), penso sia necessario almeno una volta provare a stare insieme eppure da soli immersi nell'ascolto di una storia, una porzione di realtà, di cui conosciamo poco o tanto. E' una sfida per chi ha paura di annoiarsi, non capire, non stare fermo per almeno mezz'ora. E' godimento per chi ha bisogno di un tempo al buio in fin dei conti con se stesso e una storia gli fa da tramite e salvagente. E' un atto rivoluzionario internazionale, visto che fuori Italia esperienze del genere sono più frequenti e il mondo audio più rispettato.
E' per esperienza personale che ne scrivo;-)






mercoledì 11 settembre 2013

La scuola fuori cattedra

Nei primi giorni di scuola riascolto fino allo sfinimento i pensieri sulla scuola del film-documentario La voce di Pasolini.

"Penso perciò che gli studenti dovrebbero lottare non per pretendere dall'autorità attuazioni di diritti, o perlomeno non solo per questo, ma per pretendere da se stessi di essere la parte più importante, reale, dell'opinione pubblica"

Non continuo a spiegare il "perciò" di cui ho omesso il riferimento e che spiega l'incipit del pensiero né la fine di questo estratto preso da YouTube. Penso sia un invito potente a ridarci i ruoli, chi sta dietro e chi sta davanti alla cattedra, e oggi proprio indipendentemente dalla cattedra.

Poi in questo settembre c'è chi la cattedra non la vuole, la teme più di uno schiaffo e di un gol in porta, e chi allora fa a meno di un pezzo di legno per avvicinarsi a Pinocchio in altri modi. Eraldo Affinati nel nuovo libro Elogio del ripetente dà un ruolo a chi alla fine ascolta, con tutta la buona volontà di cui dispone, chi riesce a trovare un pertugio tra problemi in famiglia, videogiochi, strade pericolose.

"Il ripetente resta responsabile di quello che fa. Non può essere giustificato. Ma, come tutti noi, non sbaglia da solo. Vive in un sistema che circoscrive i confini della sua libertà e determina la forma dell'azione collettiva".

Ci vengono in soccorso le 10 regole sull'insegnamento del filosofo e matematico Bertrand Russell, una sorta di micro manifesto di cui invito alla lettura integrale nel sito Brain Pickings di Maria Popova e di cui riporto tradotti i tre punti che mi sono piaciuti di più.

"1. Non ti sentire certo di nulla
  7. Non temere di avere idee eccentriche, perché quella che ora è un'opinione riconosciuta un tempo   era eccentrica.
  9. Sii scrupolosamente vero, anche se la verità è scomoda, perché è molto più scomoda quando cerchi di nasconderla".




domenica 8 settembre 2013

Streben nach, sentire il movimento

Le vacanze sono finite già prima che io ricominciassi a scrivere post in questo blog. Avevo comunque bisogno di un tempo più lungo di silenzio, e di attesa. Avevo bisogno di pazienza.

Avevo imparato a portarli avanti, il silenzio, l'attesa e la pazienza, nel chiuso della mia testa per anni, quest'anno li ho praticati nella prova del corpo sottoposto non a immobilismo o passività, ma al movimento.

Camminare e correre sul prato e sulla sabbia, muovermi dentro l'acqua mi ha fatto sentire viva, in ascolto, desiderosa di non perdere durante l'inverno in città il rispetto per le mie estreme possibilità di conoscenza. La mano che sfiora l'acqua è la stessa che si tende per accarezzare, il piede che salta è lo stesso che cerca il primo passo che riconcilia. L'ho fatto, magari in modo maldestro a volte, ma ho fatto corpo col corpo che ho. L'ho usato, insomma, per fare dei pensieri le azioni più semplici e dirette.

Non sempre c'è stato l'applauso, a volte azioni e pensieri sono tornati a boomerang e hanno fatto tanto male. A volte c'è stata la liberazione e ho nostalgia dell'acqua che mi mette pace e di un pezzo di verde, foss'anche il giardinetto sotto casa.

E allora vado, andiamo, saltiamo le stagioni per stare all'aria aperta, beati nei rumori che quest'anno ho registrato all'istante: il temporale, il vento dal mare, i bambini vicini, le lamentele dei grandi, un'ambulanza che non smette, gli amici che ridono e i colleghi che filosofeggiano sulle mode del momento.

Quest'anno la parola d'ordine sarà "Streben nach", a cui le insegnanti aggiungevano "+ dativo", per ricordarci che il caso da mettere dopo quel verbo tedesco era uno strano complemento di termine. Streben nach, ossia tendere verso, senza ansie, solo desiderosi di realizzare il desiderio che ci portiamo dentro. Streben nach per sentire quello che in vacanza, se siamo stati attenti o fortunati o in preghiera, è capitato e ne vogliamo ancora. Streben nach è già movimento.




domenica 4 agosto 2013

Buona estate

"Se in questo dannato mondo fenomenico trovi il tempo di starnutire, puoi dirti fortunata". 

Franny e Zooey, J.D. Salinger 


Ecco, allora buoni e tanti starnuti a tutti. Buona estate.

Io la passerò al mare a fare le buche per trovare l'acqua, l'attesa di quando ero piccola, il tempo recuperato.  




sabato 20 luglio 2013

Cos'è il volontariato

Oggi voglio riportare un estratto di una mail della mia amica Valentina a proposito di cosa è il volontariato. E' un pensiero per me fondamentale e che può valere per ogni attività che ci riguarda e che ci sta a cuore. Ecco, è il famoso I care di don Lorenzo Milani, per dirne solo una, cioè "mi importa e me ne faccio carico".

"Per definizione il volontariato è SCELTO, liberamente. 
Possiamo decidere di dedicare parte del nostro tempo e delle nostre forze, siano 3 minuti come 3 ore o 3 interi giorni; ma in quei 3 minuti, in quelle 3 ore o in quei 3 giorni ci rendiamo, a mio avviso, LIBERAMENTE SCHIAVI. Non si può più, cioè, scegliere se impegnarsi o no: si è già scelto. 
Non credo neppure che siano gli imprevisti della vita quotidiana ad impedirlo. Credo siano invece le nostre volontà. 
Rifuggo l'idea che ci si impegni in certe attività per perbenismo o come status symbol o per convenienza".



venerdì 19 luglio 2013

Mia nonna il 19 luglio 1943

Il fatto pubblico: San Lorenzo fu il quartiere di Roma più colpito dal primo bombardamento degli Alleati, insieme al quartiere Tiburtino, al Prenestino, al Casilino, al Labicano, al Tuscolano e al Nomentano.

"Le 4.000 bombe (circa 1.060 tonnellate) sganciate sulla città, provocarono circa 3.000 morti ed 11.000 feriti, di cui 1.500 morti e 4.000 feriti nel solo quartiere di San Lorenzo".

Alla fine del bombardamento Papa Pio XII si recò a visitare le zone colpite, benedicendo le vittime sul piazzale del Verano.

Il fatto privato: Sono cresciuta con la storia dei quartieri bombardati a Roma e in quei quartieri ci sono nata e ho continuato a sceglierli per viverci e passarci il tempo da grande.

nonna Anna
Mia nonna dice che da giovane era un'incosciente che correva sotto le bombe scambiandole per regali venuti dal cielo, una sorta di "manna" biblica, s'è subito ricreduta. E' un fatto che dal 19 luglio 1943 a ogni temporale si nasconde nel punto più stretto e più buio della casa, lontano dai vetri. L'abbiamo sempre presa in giro per questo, lei incurante di qualsiasi altro fatto che nel frattempo poteva essere accaduto a casa.

E una sera a cena ho registrato le sue parole, qui: http://soundcloud.com/lacchiappasuoni/nonna-19luglio1943 



sabato 13 luglio 2013

Buone vacanze

"Il giovane scrittore deve amare la scrittura. Amare l'atto di scrivere, il suono della macchina da scrivere, l'odore dell'inchiostro, tutto. E deve farne un mondo tutto suo e di nessun altro".

Raymond Carver, Niente trucchi da quattro soldi

E questo vale per qualsiasi cosa facciamo, in qualsiasi attività decidiamo di impegnarci. Diciamo che l'amore è un'esperienza che attiva tutti i sensi, guai a voler essere conservatori in qualche aspetto. A noi il compito di custodirlo e farlo crescere, in silenzio, beati senza pensare e senza fare nulla che non sia amare ciò in cui siamo coinvolti. 

Oggi scrivo davanti ai pioppi e ai pini di mare, coi capelli ricci per l'acqua salata e le braccia abbronzate. La natura che in città mi sfugge oggi mi sembra ancora una volta un regalo esagerato. Buone vacanze.


sabato 6 luglio 2013

Leila Saida, buona notte

"Ogni popolo ha il diritto imprescrittibile e inalienabile all'autodeterminazione", art. 5 della Dichiarazione universale dei diritti dei popoli.

La prima volta che sentito la parola "autodeterminazione" proveniva dal piano di sopra, l'ottavo nel palazzo in cui vivevo fino a pochi anni fa, e fu urlata a un fratello che si preparava all'esame di terza media dal fratello che già faceva il liceo, si sarebbe laureato lettere e avrebbe continuato a urlare i diritti degli uomini e delle donne. In poche parole e una parolaccia il grande spiegò al piccolo come si doveva stare al mondo, cioè liberi, e lo spiegò anche a me, che al piano di sotto studiavo per superare la stessa prova.

Alzi la mano chi sa chi sono i Saharawi e dove si trova il Sahara Occidentale. Nella geopolitica internazionale la loro storia è nota, la geografia del loro paese un po' meno. Non tutti lo chiamano paese, del resto, non riconoscendo la RASD, ossia la Repubblica Araba Saharawi Democratica proclamata nella notte tra il 26 e il 27 febbraio 1976 quando la Spagna lasciò l'occupazione del Sahara Occidentale mentre Marocco e Mauritania continuavano nella progressiva occupazione di uno dei territori più ricchi d'Africa, con coste pescose che i bambini che vivono nei campi profughi del deserto algerino non hanno mai visto.

Bandiera Saharawi

Nove di questi bambini li ho conosciuti poche ore fa al Centro Ragazzi don Bosco di Roma che ospita il gruppo di volontariato Sahara Libre che a sua volta ospita, come ogni anno da dieci anni, un gruppo di bambini e il loro accompagnatore, ambasciatori di pace alla ricerca di qualcuno che sostenga la loro "causa", un referendum per l'autodeterminazione attraverso il quale raggiungere la piena indipendenza.
Intanto un muro di circa 2700 chilometri e un campo minato lungo il suo perimetro separano i Saharawi rimasti nei territori occupati dal Marocco da quelli che più di trenta anni fa sono fuggiti e hanno trovato rifugio a Tindouf, a sud dell'Algeria, dove fa molto caldo e si vive con gli aiuti umanitari. I nove bambini vengono da lì.

Per sapere di più su questa storia in rete ci sono alcune informazioni, io che stasera me li sono trovati addosso con richieste di bagno, pianto, acqua tutte mal interpretate, ne segnalo alcune di parte: registrazioni rubate ai miei amici Marco e Teresa mentre spiegano chi sono i Saharawi e come comportarci con i bambini che accogliamo, il fotoracconto di una passeggiata a Roma l'anno scorso insieme ai fotografi di Shoot4Change

Tra le parole in cuffia di oggi, Leila Saida, buona notte.
Al prossimo post la voce dei bambini di quest'anno.






martedì 2 luglio 2013

L'enigma del lavoro

Il fatto pubblico: "Secondo gli ultimi dati dell’Istat, in Italia il tasso di disoccupazione a maggio del 2013 era al 12,2 per cento, in aumento di 0,2 punti rispetto ad aprile e di 1,8 punti rispetto all’anno precedente. Nei 17 paesi della zona euro, secondo i dati dell’Eurostat, il tasso di disoccupazione medio ha toccato un massimo storico a maggio, infatti dal 1977 i dati non erano così allarmanti".

Il 25 giugno il Consiglio dei ministri italiano ha approvato un decreto legge per incentivare l’occupazione giovanile. Questo il testo del decreto

Il pacchetto di misure per il lavoro varato dal governo prevede una riduzione del 33 per cento del costo del lavoro per le assunzioni di persone con meno di 30 anni fino all’esaurimento delle risorse disponibili. Questo il comma 2 dell'articolo 1:

"L’assunzione di cui al comma 1 deve riguardare lavoratori, di età compresa tra i 18 ed i 29 anni, che rientrino in una delle seguenti condizioni: 
a) siano privi di impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi; 
b) siano privi di un diploma di scuola media superiore o professionale;
c) vivano soli con una o più persone a carico.

E gli altri? E se sono loro il carico che altri portano? E se hanno studiato, puta caso? Ma sicuramente non sono ben informata io, e mi perdo fra leggi, commi e regolamenti.

Il fatto privato: In metro incontro Michele che ha sonno perché fa tardi un ufficio per lanciare nuovi servizi online che faranno risparmiare tempo e fatica alle persone che vogliono comprare, usare, provare qualcosa. Anche Simone lavora tutto il giorno e anche la notte nella sua azienda di informatica e anche Enrico che fa un altro lavoro. Sarebbe così semplice se Michele, Simone ed Enrico potessero dormire un po' di più lasciando parte del lavoro da fare a Giovanni, che non trova da tempo un'occupazione, è giovane e preparato. Uno dei quattro mente.


sabato 29 giugno 2013

Anestesia uditiva

Oggi sono andata in spiaggia a prendere un po' di vento. In costume e con la sciarpa attorno al collo, risultato: abbronzatura a strisce, anzi a una sola.

Ho anche provato a leggere qualche pagina di Storia di un corpo, di Daniel Pennac. Del resto non è lo stesso Pennac in un altro suo libro, Come un romanzo, ad affermare che "Noi siamo abitati da libri e da amici"? E io il libro l'ho preso perché un mio caro amico lo sta leggendo e ci si sta immergendo da giorni, per il mare mi sembrava la lettura adatta. 

E' stato il vento ha portarmi a una pagina e a una scoperta tutta da provare.

[...] "Sei pronto? Ho stretto i denti e le palpebre. Ho fatto cenno di sì, Violette ha sfregato la ferita e non ho sentito assolutamente niente! Perché lei si è messa a gridare al mio posto. Un vero grido di dolore come se la scuoiassero viva! All'inizio sono rimasto sbalordito, poi io e Tijo siamo scoppiati a ridere. Quindi ho sentito sul ginocchio il fresco dell'alcol che evaporava. Portava via una parte del dolore. Ho detto a Violette che con il secondo ginocchio non avrebbe funzionato perché ormai il trucco lo conoscevo. Stavolta ha cacciato un altro grido. Un grido di uccello incredibilmente acuto che mi ha perforato i timpani. Stesso risultato. Di nuovo sentito niente. Questa, bel fusto, si chiama anestesia uditiva. Pulendomi le mani non ha gridato e il suo silenzio mi ha stupito ancora più delle grida. Prima che potessi sentire qualcosa era tutto finito.
Quindi, se si riesce a distrarre la mente dal dolore, una persona ferita non lo sente". [...]

Il grassetto l'ho messo io.


venerdì 28 giugno 2013

Non parlo alla radio? E io parlo della radio

Il fatto pubblico: Il giornalista Emanuele Giordana, collaboratore di Radio3Mondo e Rainews 24, lascia entrambe le collaborazioni: la Rai non gliele rinnova. Chi è Emanuele Giordana lo trovi qui e lo puoi ascoltare qui. Soprattutto, sulla vicenda che lo riguarda e sul lavoro che svolge lo puoi leggere qui, nel suo blog. Stamattina è l'ultimo giorno di conduzione a Radio3Mondo, "un turno durato 12 anni".

Foto tratta dal sito di Radio3, "Come ascoltare Radio3"

Il fatto privato: Indonesia e l'Afghanistan, lo studio e i viaggi nella storia professionale di Giordana. E come per i ragazzi mal trattati del post precedente  la necessità di salutare, ringraziare e rendere pubblica un'esperienza di precariato da grandi.

sabato 22 giugno 2013

Tu mi tratti male? E io ti faccio "pubblicità"

Queste sono due storie diverse e molto simili. Parlano di ragazzi, di lavoro, di scorrettezza e di web amico.

La prima la raccolgo dalla Nuvola del lavoro che col titolo Il cliente non paga? E io lo metto alla gogna in Rete racconta la storia del web designer che realizza un sito web, del suo cliente che dopo 6 mesi non paga, di cosa fa il web designer per avere i suoi soldi. Semplice, fa il suo lavoro e realizza un'home page in cui spiega con parole e immagini perché il servizio sia ancora offline. E i social network rilanciano, commentano, raccontano altre storie. #justmymoney è l'hashtag per seguire questa e altre vicende su Twitter.

Da notare che nel titolo del blog del Corriere della Sera viene usata la parola "gogna": solidarietà al giovane professionista, dominio del sito registrato a suo nome, conseguenze legali a suo sfavore. Come dire, noi pubblichiamo ma un po' ci dissociamo.

L'altra storia è quella di due studenti universitari che per sostenere un esame di semiotica scelgono il "caso" Tim. E l'azienda telefonica diventa veramente un caso visto che il suo ufficio stampa rimanda al mittente le richieste di avere informazioni per l'esame. Come lo fa lo raccontano i due diretti interessati e  la loro prof, Giovanna Cosenza, che nel suo blog Dis.amb.iguando si chiede Se Tim tratta male due studenti, è perché dimentica che sono clienti? Inutile dire che la rete ne parla e l'azienda è in difficoltà.


Non aggiungo altro, buon fine settimana.


domenica 16 giugno 2013

Domani niente scuola. E invece sì

Il titolo del post è il titolo di un bellissimo libro di Andrea Bajani che racconta da infiltrato tre gite scolastiche, e quindi il mondo gli adolescenti, la scuola, l'Italia, i "grandi". Domani niente scuola, appunto.

E invece domani e nei giorni a venire si può fare una scuola diversa sfruttando le limitazioni dell'ambiente e anzi costruendone uno nuovo, sia fisico sia d'apprendimento. E' l'esperienza documentata e portata al TED di Sugata Mitra, il tecnologo indiano che ha dato a un gruppo di ragazzini delle baraccopoli indiane un computer connesso a internet e che ha scoperto come in poco tempo i ragazzi avessero imparato da soli a usarlo, a cercare informazioni, a imparare un po' l'inglese. Ha portato l'esperienza in altri contesti simili e ha lanciato il programma Sole, Self Organized Learning Environment

Lo racconta oggi l'articolo di Luca De Biase su Nòva del Sole 24 Ore: "Chiunque abbia intenzione di provare il sistema potrà scaricare un kit dalla rete e applicare il metodo nella sua scuola o nel suo quartiere".

La scuola e soprattutto chi l'ha lasciata, chi non l'ha mai potuta frequentare, chi non la considera un luogo è un argomento, anzi un fatto, che mi sta a cuore. L'apprendimento libero mi fa pensare, ma i pensieri non sono ancora ordinati per poterli condividere. Voi che ne dite? Io intanto scaricherò il kit preparato da Mitra il cui lavoro, come chiude De Biase nell'articolo, è un esempio. E, per citare Alessandro Bergonzoni, è finito il tempo degli esempi: "Gli esempi siamo noi, non quello che scrive il grande libro. Don Ciotti, Peppino Impastato, quand’è che diventiamo come loro? Non possono fare tutto loro. Gli esempi siamo noi". Bergonzoni l'ho ascoltato ai Radio Days il 25 maggio scorso a Sasso Marconi, informazione di potenza

E scusate se il post del sabato è uscito di domenica, a volte succede.


lunedì 10 giugno 2013

L'artigiano cosmopolita

Il fatto pubblico: "Abbandonare l’ottica del riprodurre pratiche tradizionali. Non dobbiamo insegnare quello che facevano i nonni. Piuttosto scatenare la creatività dei giovani, usare le tecniche in modo originale. Secondo imprescindibile elemento, l’apertura internazionale".

Chi parla è Stefano Micelli, professore di Economia e gestione delle imprese presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia e autore di Futuro Artigiano. Si riferisce ai laboratori che insegnano un "mestiere antico" come fanno quelli della Scuola del cuoio a Firenze o la Scuola del vetro di Murano o la Scuola internazionale di liuteria di Cremona

Rivolto a studenti di tutto il mondo, il "c'era una volta" senza nostalgia dei mestieri produce valore, risponde a una domanda di consumo nuova, fa da stimolo a nuove capacità imprenditoriali. Ne parla un articolo di maggio scorso di Linkiesta, Scuole e corsi, ecco come diventare un artigiano 2.0.

Il fatto privato: Domenica mattina in televisione due trasmissioni contemporaneamente si chiedevano da dove ripartire per fare innovazione nel nostro paese e cosa ci fanno i cinesi in Italia. Alla prima domanda fatta da  su La7 rispondeva  su Rai3. Messe con l'hashtag perché su Twitter segnalavo in corto che preferisco i ragionamenti tranquilli alle discussioni urlate che vanno in onda la sera a tavola ancora imbandita.




sabato 8 giugno 2013

Parlando di lavoro

Diversi anni fa avevo l'urgenza di lavorare, che non è la necessità di farlo né coincide con qualche indicatore temporale. La necessità è sempre reale e il tempo passa, certo, ma allora per me l'urgenza significava liberare tutti i saperi acquisiti fino a quel momento, metterli a disposizione e finalmente dare il mio contributo nella società in cui mi muovevo. Ardori post universitari, succede.

Nel 2003, dopo le prime esperienze belle e brutte in diverse realtà lavorative - agenzie di comunicazione e di stampa - creo il sito Raccontolavoro per mettere ordine alle mie stesse esperienze raccontando quelle degli altri, dal ciabattino al bibliotecario, dal sindacalista all'attore e allo scienziato. Mi faccio fregare dall'invito dei sociologi a scrivere di lavoro per farlo ridiventare soggetto narrativo forte, intervisto le persone, costruisco e aggiorno il sito come fosse un programma radiofonico, ogni puntata dedicata a un tema attorno a cui ruota l'intervista, la segnalazione di un libro, la scoperta di un antico mestiere, il discorso importante.

Sempre per colpa dei sociologi decido di prendere il call center, emblema della nascente precarietà e "schiavitù post moderna" (Domenico De Masi), e farlo diventare soggetto di una storia agrodolce che propongo in forma di audio dramma, Parole in cuffia, da cui deriva anche questo blog.
Nel frattempo proprio il sito Raccontolavoro più mi fa trovare lavoro come copy ed editor per la comunicazione online di una grande azienda. Scrivere e insegnare a farlo in maniera chiara ed efficace diventa il leit motiv delle mie giornate. Racconto o lavoro? Racconto e lavoro.

Nel 2008 esce il docufilm di Ascanio Celestini Parole Sante, testimonianza di un gruppo di precari Atesia, il più grande call center italiano. Esce anche la commedia Tutta la via davanti, di Paolo Virzì, liberamente ispirata al libro Il mondo deve sapere, di Michela Murgia, che racconta proprio il mondo dei call center. Sono già due anni che Paola Cortellesi porta a teatro Gli ultimi saranno ultimi, monologo di Massimiliano Bruno sulla precarietà. 

E negli ultimi anni si intensificano i lavori sul lavoro. Ieri ne ho ritrovati alcuni nel blog del Corriere della Sera La nuvola del lavoro. Nel post Se il lavoro non c'è, almeno lo si recita a soggetto Filomena Pucci segnala lavori diversi per luoghi, temi, persone e contratti o senza contratto, rappresentati in un modo o in un altro. Tra questi riscopro e segnalo l'audio documentario Ilva, c'era una rivoltarealizzato dagli amici e soci Audiodoc Ornella Bellucci e Gianluca Stazi

Mi fa piacere che si parli e si narri di lavoro, senza vergogna e senza pudori, e senza miti. Penso però sia necessario superare il piagnisteo come la rabbia e fare progetti, chiedere aiuto, continuare a indagare la realtà e portarsi fisicamente a teatro, dentro un libro, all'ascolto di storie che ci riguardano. Politici e imprenditori dovrebbero conoscere di più la letteratura.
Bisogna superare, perché la realtà già lo ha fatto, le categorie mentali di precari e non precari, di tipologia di contratti, di posti di lavoro: ognuno ha la propria specificità, ma tutti hanno in comune la ricerca di identità e di dignità personale.

Oggi ho sempre più l'urgenza di raccontare.



sabato 1 giugno 2013

L'occasione

Un gesto, appunto. Non poteva essere che un gesto, e anche clamoroso. Gigantesco. Un’enormità. Portare quelle pecore nel college. Per combinazione Jeremy con la sua conferenza, e Thomas con la sua febbre, glielo avevano servito su un piatto d’argento, quel gesto. Un’occasione da cogliere al volo. […] E poi un altro gesto non l’aveva trovato, diciamoci le cose come stanno.

Paola Mastrocola, Non so niente di te

Sabato scorso a quest'ora (le 10.30 di mattina, lo scrivo nel caso il post online sbagliasse tempo di apparizione:-) ero a Sasso Marconi ai Radio Days a parlare di audio documentari insieme a Jonathan Zenti, che con me fa parte dell'associazione di audio documentaristi Audiodoc. Abbiamo introdotto ogni elemento e fase di questo particolare "mestiere dell'ascolto" con una citazione letteraria, non scelta a caso ma funzionale all'esposizione e all'ascolto dei "ferri del mestiere" che stavamo per trattare. 

Questa tratta dall'ultimo romanzo di Paolo Mastrocola, in particolare, è legata all'occasione, che è il primo elemento fondamentale e trasversale alla produzione di audio doc (e non solo). "Occasione" deriva dal latino occasus, participio passato del verbo occidere, ossia cadere contro/accadere. L'occasione è cogliere il momento favorevole per trasformare il caso in progetto. Qui sta l’attenzione a ciò che accade e, attraverso gli altri ferri del mestiere, la possibilità di farne un audio documentario.
Affascinante l'etimo, importante le orecchie sempre aperte, e non solo perché diversamente dagli occhi non hanno le palpebre per poter essere chiuse all'occorrenza, un ulteriore spunto l'avvio letterario a cui sono affezionata.

Cogliere un'occasione è stato il leit motiv della mia settimana e se ci pensiamo può essere il filo conduttore di un'intera vita, senza ansie o stress, eppure attenta a ciò che succede attorno e che risuona dentro.  



 


mercoledì 29 maggio 2013

Fuori Italia

Il fatto pubblico: Se ieri ho pubblicato un post sull'emigrazione dall'Africa verso l'Italia e da qui per la Germania, oggi pubblico un video che punta dritto all'Europa e non solo partendo dall'Italia. Si chiama Emergency Exit e l'ha realizzato Brunella Filì. Non aggiungo altro, è molto bello. 
La parola che torna è responsabilità.

Il fatto privato: La nuova emigrazione non mi va giù, anche se dalle crisi per carattere cerco sempre di scorgere le opportunità. Be', diciamo che allora ci sono tante opportunità in questo periodo storico, e personale, che si vive in Italia:-) Diciamo anche che dobbiamo scegliere come vogliamo vivere, in Italia o fuori Italia. Ho provato a chiudere gli occhi e a sentire i sogni e i mestieri dei ragazzi intervistati, dalla veterinaria al musicista ho sentito soprattutto le rotelle del cervello in funzione anche di notte in tante lingue.

martedì 28 maggio 2013

Realtà e responsabilità

Il fatto pubblico: Per il Ministero dell'Interno tedesco le istituzioni italiane avrebbero dato soldi agli immigrati africani di Libia, Ghana e Togo per farli arrivare ad Amburgo violando così gli accordi europei. Lo riporta oggi un articolo di Corriere.it che riprende un'agenzia della Dpa, l'agenzia di stampa tedesca con sede ad Amburgo.

Noi difendiamo l'Europa è un audio documentario di Roman Herzog del 2009 sull'occupazione politca e la lotta all'immigrazione in Libia. L'autore segue le autorità libiche nella loro lotta all'immigrazione, entra nei campi di detenzione di profughi e migranti in Libia, che per lo più provengono da Ghana e Togo, parla con gli oppositori del regime di Gheddafi, con chi lavora per le organizzazioni umanitarie che si occupano dei profughi, con profughi e migranti.
Cosa ha fatto la Libia per contrastare l´immigrazione, come l'Europa esige?
Cosa chiede la Germania all'Italia oggi?

Il fatto privato: Nei giorni scorsi ho avuto modo di riflettere sulla differenza tra formazione e informazione, tra la velocità non solo di un tweet ma anche di un post in un blog e di una flash news d'agenzia rispetto alla lentezza dell'approfondimento e alla responsabilità di documentare la realtà. L'ho fatto anche in diretta, quella della trasmissione di Radio3 Fahrenheit in cui ero ospite insieme a tanti professionisti dell'informazione e della comunicazione in occasione dei Radio Days a Sasso Marconi.



martedì 21 maggio 2013

Radio Days e i mestieri dell'ascolto

Il fatto pubblico: Si svolgerà dal 23 al 26 maggio a Sasso Marconi (Bologna) l’edizione 2013 dei Radio Days, rassegna di comunicazione in nome della radio dedicata a Guglielmo Marconi, alle sue intuizioni ed esperimenti. Qui per saperne di più e scaricare il programma variegato: dall'evoluzione dei sistemi di accesso alla banda larga in mobilità al ruolo delle radio locali nel terremoto dell'Emilia, dagli incontri su mestieri della comunicazione alla premiazione dei "grandi comunicatori del nostro tempo".

Il fatto privato: Nell’ambito del tema “I mestieri della comunicazione”, l'associazione Audiodoc propone l’intervento L’audio documentarista mestiere dell’ascolto e quindi l’ascolto guidato di alcuni dei lavori che usano il suono come mezzo specifico di narrazione della realtà. Per saperne di più cliccate qui;-)



sabato 18 maggio 2013

I sogni non sono sempre d'oro, però...

Mi piacerebbe raccontare in audio i sogni che ultimamente accompagnano le mie notti. Non sono sogni d'oro e la colonna sonora potrebbe essere questa, Stravinsky.

Sono sogni da cui stamattina il campanello mi ha svegliato ma io non ho fatto in tempo a vedere e capire chi fosse, sparito chi ha disturbato il mio sonno e al tempo stesso m'ha salvato dai miei incubi.
Dunque... forse è la stessa mano quella che interrompe un sogno e quella che ci tira fuori da una realtà, pure se onirica, per farci vivere la nostra vita. Non rovina, salva. Non guasta la festa per sempre ma rimette ordine alle cose. Vorrei riuscire a vedere in questo modo tutti quelli che mi sembrano ostacoli alla realizzazione dei miei sogni, appunto. Troppo?

Un'intuizione che volevo condividere, uscendo sempre un po' troppo dai confini del blog. Ma è sabato, le settimane sono piene piene, il blog l'aggiorno meno di frequente e oggi mi prendo questo spazio di libertà rischiando di sembrare off topic a casa mia.

Di cosa sto parlando, in realtà? Di ogni mancato sì a un progetto, per esempio, per mano di qualcuno che non corrisponde alla nostra volontà. Ma qui arriva l'intuizione di stamattina: approfittare di quella mano sul campanello per aggiustare il tiro, ricominciare il progetto dentro il no ricevuto e non contro di esso, sia un rifiuto d'amore sia un rifiuto di lavoro, rimettendo in azione le risorse interiori. Come i sogni;-)


sabato 11 maggio 2013

La festa della mamma il giorno prima

Alla festa della mamma voglio cambiare nome, l’unico modo per festeggiarla anche io che madre non sono. La chiamo festa della donna in attesa, incinta da ogni tempo, il parto che non coincide con l’uscita ma è perenne concepimento. Pulsione costante, grida. Nessun uomo durerebbe tanto.

Pienezza di vita, tanta acqua, fatica e respiro, tutto prima. Non participio passato, compiuto e quindi perfetto, è ancora ferita quella vita che continua e che resta forma informe.

Qualcuno dice che non è mai pronta e la festa da rimandare, è che le piace preparare, la farina messa a cono sul tavolo della cucina, l'albero di Natale.
Guarda le bambine in biblioteca che il padre chiama ragazze e loro si aggiustano i capelli e toccano la carta, ride al pallone di quel figlio che gli rotola sui piedi e che l’annusa come madre ragazza. Hanno la faccia delle benedizioni, non sente contraddizioni.

La donna in attesa non porta sempre vestiti larghi e la pancia gonfia, anche se ogni bene passa da lì. Con le energie ci cova i sogni, che non si conoscono mai del tutto, imperfetti violenti come radici storte che irrompono nell’asfalto. Chiede solo un tempo per coccolarli, anche se non hanno il fiocco rosa o azzurro che li annuncia, per i segni c’è la sabbia e poi c'è la tomba.
Se il tempo non glielo danno tira giù le lacrime, perché s'è arresa a essere umana e a far uscire ogni giorno qualcosa di sé.

Buona festa della mamma a chi nove mesi non bastano per far nascere un figlio, a chi senza sangue partorisce ogni giorno un'idea, l'intuizione, quel progetto da seguire senza nome, che suona strano. Buona festa a chi riconosce un altro e se lo porta dentro, proprio come una mamma fa ora in ogni tempo.