sabato 30 novembre 2013

"Ripartirei dalle cose, non dalle parole"

Tullio De Mauro a Otto e mezzo ricorda che "non solo per i politici, ma per la classe dirigente, era meglio un discreto tasso di analfabetismo". L'Italia non investe sulla scuola e la figura del docente è bistrattata, invece bisognerebbe ripartire da lì, con investimenti sulla sua formazione.

E allora la domanda della prof di lettere al liceo non sarebbe più "Vuoi studiare letteratura? Per ridurti a fare l'insegnante!?" ma diventerebbe l'esortazione "Studiate ragazzi, diventate bravi in qualunque campo e passate quello che sapete agli altri!"
Ecco, io penso che la colpa italiana sia stata e sia ancora l'egoismo. Che significa la propria raccomandazione al lavoro così come i compiti copiati a scuola e all'università, che significa un lavoro sudato a tutte le ore e nessuna ora disponibile per gli altri, quelli che un lavoro non ce l'hanno così come non avevano ieri un banco in cui sedersi. Che significa che se sei a posto tu, se hai preso un buon voto, allora il mondo gira per forza per il verso giusto.

Ci sono così tante affinità, da sempre, tra la scuola e il lavoro, che a volte perfino i miei colleghi li vedo come forse erano trenta anni fa, alcuni anche di più. Non direi loro niente, così come non lo dico ora, ma farei mie le parole di De Mauro stasera: "Ripartirei dalle cose, non dalle parole".

Quindi i compiti in classe non si copiano ma si preparano prima, quindi i banchi ci sono per tutti e non solo per chi paga, quindi i banchi non si sporcano ma se ne ha cura. Quindi basta parlare di lavoro, classe dirigente che ignora le storie contigue di una medietà che è diventata mediocrità dilagante.


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