giovedì 19 dicembre 2013

Le formule degli auguri di Natale

Si arrovella l'azienda nel cercare la formula d'auguri che includa i cristiani ma non faccia danni alle relazioni con coloro che professano altre religioni, si chiede l'inquilino italiano se debba fare gli auguri al vicino di casa egiziano per cui forse è Natale anche per lui, magari spostato un po' in avanti nel calendario che conosciamo, rivendico anche per me i dolci e dolcetti che la collega tanto devota ha regalato negli anni ai ragazzi mentre per le ragazze dello stesso ufficio ha preferito libri di stampo religioso.

E' buffo il Natale quando mette a nudo il politically correct nostrano e ci permette di riderci su.

Il Natale però esiste non solo in Italia e non solo in Europa: diverse e simili sono le usanze sociali e religiose che arrivano in Giappone, in India. In Germania e nell’Europa del Nord l’albero di Natale e le luci che ci piacciono tanto derivano dalle feste pagane, in primis da quella che saluta e ringrazia il sole. Esiste se siamo cristiani, e ricordiamo perciò la nascita in Medio Oriente del bambino ebreo “figlio di Dio”, esiste se lo identifichiamo col cappello rosso e la faccia barbuta e rubiconda del vecchietto che è finito in America e tornato in Italia distribuisce ancora regali ai bambini, e pensare che era partito come san Nicola, e non era ciccione.

Auguri natalizi -
fonte, islamitalia.it
Abbiamo ogni riferimento “scientifico” per scrivere e per dire la parola "Natale" negli auguri che ci scambiamo, del resto lo facciamo spontaneamente senza chiederci se crediamo a “quel” bambino – ma a un bambino che nasce ci crediamo sempre anche se non è Salvatore, prova è la sua esistenza e i nostri sorrisi sempre un po' beoti davanti a un neonato –, oppure se preferiamo le lucette sul balcone o se siamo più per il presepe o l’abete, di plastica o quello vero.

E allora buon Natale con buona pace di chi vive un’altra religione, di chi la questione non se la pone proprio, di chi in nome di una religione muore, di chi si ostina a fare regali sbagliati, di chi non vede l'ora di andare in ferie, beato perché ha un lavoro tra molti che non ce l'hanno o non ce l'hanno più.

Tempo fa la semiologa Giovanna Cosenza a proposito del politically correct sul suo blog scriveva: “Una società non diventa più rispettosa dei disabili (handicappati?) se li chiama non vedenti, né i privilegiati diventano più rispettosi di chi fa lavori umili se dicono operatore ecologico, collaboratrice domestica e così via. Analogamente, un omofobo resta omofobo anche se dice gay invece di frocio”.

Se in vino stat veritas, le parole “morbide” o tra virgolette sono come il vino a cui aggiungi l’acqua: perde sapore e verità. Perdono identità. E quando perdi identità il rischio è che perdi pure il rispetto degli altri.

Eh eh, allora anche “Auguri e figli maschi” potrebbe essere considerato un invito alla fecondità che discrimina le donne e le coppie che magari non possono avere figli. “Incrociamo le dita” non lo puoi dire senza aver prima controllato che il tuo interlocutore le abbia tutte. E per ricordare il giorno della propria nascita non basta un generico e onnicomprensivo auguri, ma si pretende “buon compleanno”.

Come dire, la sensibilità è materia sensibile che passa anche per una semplice frase di auguri. E visto che ogni anno è sempre Natale, mi chiedo perché non ci prepariamo per tempo per creare formule di auguri che siano sincere e non inattaccabili e per questo fredde e fasulle. Comincerei per esempio evitando il congiuntivo, perché il congiuntivo si porta dietro frasi come "... Che il tuo cuore possa aprirsi alla gioia", "che la serenità avvolga la tua casa e la tua famiglia", userei piuttosto l'indicativo per fare un invito "Oggi pranziamo insieme, vieni?" E mi scoccia un po' che in questi giorni me l'abbia rubato il Papa.




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