sabato 25 gennaio 2014

Dici che il gatto aiuta... la creatività?

"If you want to concentrate deeply on some problem, and especially some piece of writing or paper-work, you should acquire a cat".

Ecco, in queste settimane di irrequietezza dovrei forse seguire il consiglio di Muriel Spark nel romanzo A Far Cry from Kensington e prendermi un gatto, e pensare che prima o poi la sua serenità e il suo semplice stare arriveranno fino a me aiutandomi a dare vita a qualcosa di bello. Del resto, si sa, il gatto si acciambella sotto la lampada della scrivania o davanti allo schermo del computer e la sua soddisfazione farà bene alla mia concentrazione. 

Maria Popova nel suo post How a Cat Boots your creativity mi confonde un po' le idee, a me che pensavo di essere una tipa da cane: più movimento, più fedeltà, se possibile grandi taglie e grandi discorsi. Invece il gatto non li vuole, il suo sentimento non dipende dal mio ma addirittura lo influenza. Dovrei provare ma c'è un però. Maria Popova non conosce Pepita, la gatta di un mio amico con cui lavoro e da cui subisco agguati, da lei, non da lui:-) 

Pepita al lavoro
Pepita vuole lavorare con noi, passeggia davanti allo schermo, si siede sui miei fogli. Pepita mi fissa tutto il tempo, la ignoro ma lei c'è, poi si nasconde e dal suo rifugio trattiene la preda con lo sguardo. No, non mi trasmette serenità né facilita la mia concentrazione. E' piuttosto uno stimolo, una prova da superare, un "nonostante tutto" arrivare alla fine. Pepita dà il ritmo al lavoro e alle pause in base al suo sonno, al suo bisogno, alla sua pappa. E' tensione costante, eppure anche affezione e riconoscimento e perfino parola. Certo nel suo linguaggio, che solo il mio amico capisce. 

Ma Pepita c'è, su questo sono d'accordo col libro citato, e quando dorme, e non la trovo perché è nascosta, noto l'assenza, mi manca il miagolio, la lampada che trema, un filo tirato e l'imprecazione che segue. Noto che anche se non si lascia accarezzare si fa sentire. Non è forse questo quello per cui noi umani ci agitiamo tanto?




martedì 21 gennaio 2014

Il gesto creativo, anzi due

Ecco una delle poche sintesi che mi piacciono. Perché non è detto che dopo la tesi e l'antitesi si debba finire con la sintesi, a meno che non rimanga un qualche scarto che permette ancora il dialogo, che faccia cioè restare i due o più con le loro idee però allargate, più ampie a comprendere nuovi pezzi di realtà e nuovi modi di vederla e ascoltarla.

Ecco, la sintesi che mi è venuta in mente sta nel gesto creativo che in questo caso è doppio: disegno e danza, più precisamente disegno mentre si danza, movimento del corpo che disegna sulla carta le sue tracce mentre le lascia.

Heather Hansen

Guardo e rabbrividisco di fronte alle performance-installazioni che l'artista Heather Hansen realizza per la collettiva The value of a line in mostra presso la Ochi Gallery di Ketchum (Idaho) negli Stati Uniti, fino al 31 marzo 2014. Grandi fogli bianchi e il carboncino nelle mani per realizzare figure avvolgenti mentre ci danza sopra. Non posso smettere di osservare questi capolavori e solo immaginare ciò che si può provare dal vivo, perfino facendolo.

Perché ti viene voglia di buttarti per terra, di sporcare il foglio bianco con te stessa che ci mette l'anima e danza e disegna.

"Il mondo è di tutti e se volete arredarlo con la vostra arte, dovete creare qualcosa che possa essere accessibile al più alto numero di persone". Il critico e curatore Francesco Bonami, in Mamma voglio fare l'artista! dispensa consigli per decide di fare l'artista, sì, perché di una decisione e di un ruolo ben preciso si tratta. ... Una decisione "continuativa", direi, proprio come il gesto di Heather Hansen, guardate qui


domenica 12 gennaio 2014

Cos'è un lavoro calamitante?


Rubata agli amici del Tropico del Libro che a loro volta l'hanno rubata alla Biblioteca Nazionale Centrale di Roma dove è in corso la mostra I libri degli altri, sul lavoro editoriale di Italo Calvino nel 90° anno di nascita, l'anno scorso. La mostra chiude il 31 gennaio, pare non sia molto ricca e ben allestita, non ci sono stata ma prima della chiusura andrò a vedere con i miei occhi.

Il mestiere di editor, invece, è tutto orecchie, stimoli continui e silenzio assoluto, ascolto. E' un bel mestiere, in qualsiasi posto si faccia, non solo la casa editrice.

Calvino non è stato il solo scrittore a fare due o più lavori: nelle professioni intellettuali capita spesso, anche per i pochi e saltuari soldi che girano. E capita anche che Franz Kafka lavorasse in un'agenzia assicurativa, che Raymond Carver in una segheria e come fattorino, che Italo Svevo mantenesse il posto in banca per diciotto anni e che Giuseppe Pontiggia, dopo una tesi su Italo Svevo, pubblicasse il suo primo romanzo autobiografico dal titolo La morte in banca. Certi lavori ispirano altri.

Sì, il lavoro d'ufficio è un bozzolo caldo che fa abitudine e sussulta a volte di entusiasmi e di tragedie, è "più facile" delle occasioni che la persona a cui prude la penna e cerca un microfono sarà sempre tentata di cogliere. La domanda è "quando e quanto basta un'occasione". E quindi le domande sono due.



giovedì 9 gennaio 2014

Grafica o estetista?

E quindi buon anno. Il mio è iniziato chiacchierando con un'adolescente che studia da grafica ma che forse lascerà per fare l'estetista. Ho chiesto lumi sul mestiere di estetista conoscendo un po' quello di grafica, l'ho convinta a fidarsi mostrandole bene il mio orribile shatush appena eliminato da testa e capelli. Ebbene, ho scoperto che non sapeva in cosa consiste la scuola da estetista, che la parola scuola le fa paura, che fare l'estetista forse vuol dire non studiare, e quindi... E quindi grafica o estetista non conta, conta prendere la confusione a braccetto, farsi un giro nei centri estetici e nelle scuole così come andare per mostre, osservare le insegne dei negozi e le pubblicità in giro per la città, riuscire a uscire dai confini del quartiere e dei preconcetti. Mi auguro che l'adolescente con lo shatush incontri chi scopra qual è la sua passione e l'accompagni nelle sue scoperte.

In questi giorni di ravvio attività e in cui l'Istat comunica i dati provvisori di occupazione e disoccupazione a novembre (in dodici mesi 351mila persone in più non riescono a trovare lavoro) penso anche al ragazzino che è riuscito a entrare in un'azienda al posto del padre che va in pensione. Ma qui il termine "riuscire" non è corretto, perché implica uno sforzo e una fatica e una tensione verso una meta che non ci sono stati. E anche per lui varrebbe l'invito e l'augurio a trovare chi lo porti fuori dalla logica "e così sei sistemato e non ci devi pensare più", che a vent'anni invece il pensiero va esercitato e indirizzato. Troppo facile occupare una posizione: il lavoro e la vita mica sono una partita a a scacchi. Ma io a scacchi non so giocare, e la mossa che consiglio forse è quella sbagliata. Forse.