martedì 4 febbraio 2014

Il nuovo linguaggio aziendale, il senso della comunità

Negli ultimi anni nella comunicazione interna all'azienda girano parole come "condivisione", "comunità", "comunione" e perfino "benedizione". Girano all'interno di aziende grandi che, forse per paura di disperdere il sapere e per rafforzare il senso di identità, prima cercavano di fare squadra, poi, passata la metafora sportiva, hanno cercato di fare gruppo e oggi vogliono essere una comunità. Parola bellissima, però.

"Più persone che vivono in comune, sotto certe leggi e per un fine determinato" devono vivere insieme gli stessi valori, e non un giorno ma tutti i giorni alla prova. Devono sapere cosa rischiano se non rispettano le leggi e conoscere il fine verso cui tendono, e non un giorno ma tutti i giorni alla prova. Perché può darsi che quel fine cambi così come le leggi che governano il movimento, i processi. Può darsi che cambino pure i valori. La comunità si costruisce con persone consapevoli di tutto ciò.

E mentre nascono comunità di famiglie professionali - e la famiglia è sempre un valore in sé, e in azienda non entra la discussione della famiglia allargata o solo con genitore1 o genitore 2 e in famiglia siamo tutti uguali, ascoltiamo e parliamo senza giudizi - si rafforza la figura del capo, da cui si aspetta, per un progetto così come per una mail, l'approvazione, un ok, qualcuno dice la benedizione. Brivido uno.

Brivido due è quando mi chiamano proprio per una "condivisione" o mi inviano un documento per lo stesso motivo: mi aspetto colleghi in circolo alle prese con i loro più intimi segreti e ansiosi di ascoltare qualche parola risolutiva. Vedo persone che sbattono i pugni sul tavolo perché sono arrivati secondi nella risposta a un quesito o perché non sono loro a coordinare un gruppo di lavoro, una micro comunità, se vogliamo. Ascolto le stesse persone che in condivisione si confessano e chiedono anche l'assoluzione, brivido tre.

Abbiamo bisogno di riti e siamo esseri sociali, d'accordo, c'è uno spirito francescano nell'aria, va bene, ma, senza liquidare la faccenda che comunque merita più di questo semplicistico post, al termine di riunioni numerose e rumorose mi chiedo sempre: il lavoro chi lo fa? 






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