lunedì 30 giugno 2014

Andare a capo

Quando impagini di solito stai attento alle famigerate "vedove", la riga iniziale di un periodo che però si trova alla fine della pagina e continua in quella successiva. Stai anche attento alle righe "orfane", in realtà, quelle che chiudono un periodo iniziato nella pagina precedente e che ti ritrovi tutte sole all'inizio della pagina successiva, magari formate da poche parole, a volte solo una. Sola.

Ecco che è rovinato l'impatto visivo della pagina e anche quel filo del discorso si spezza, per di più in modo ridicolo.

Poi capita anche che si vada a capo e per andare a capo, pratica comunque sconsigliata, altre parole si formino senza l'intenzione dell'autore: sono parti piccole di parole più grandi e più lunghe, da sole hanno un senso ma non è mai quello del discorso in cui sono infilate. L'impaginatore allora deve stare molto attento e l'editor o il correttore di bozze che l'accompagna anche di più.

Andare a capo è un rischio e una scoperta, sempre una necessità per trovare nuovo spazio e muoversi più facilmente su una nuova riga. Come dire, non si può uscire dal testo, si rientra ma da un'altra parte. E' un ricominciare che dà respiro e aiuta il lettore nella lettura e nella comprensione. E' sempre una faccenda di equilibrio. Ma per andare a capo bisogna saperlo fare, occhio, e orecchio, a quello che ci si porta dietro e a quello che si lascia.





Nessun commento:

Posta un commento