domenica 30 novembre 2014

Audio storytelling, stavolta è Attesa

Oggi prima domenica d'Avvento mi ascolto tre storie radiofoniche del programma Re:Sound del Third Coast Festival, che cerca, raccoglie e ripropone le migliori audio storie realizzate in tutto il mondo.

The Waiting Show mette insieme In Line With Saturday Night Klein, di Sean Cole, del 2007; The Bus Stop, di Lulu Miller, del 2010 e Four Failing Lungs, di Catie Talasrki del 2011.

C'è chi si è preso il compito di far rispettare la fila davanti al Rockefeller Center a New York per lo spettacolo Saturday Night Live, nella prima storia, chi aspetterà per sempre l'autobus, nella seconda, chi invece aspetta il trapianto di un polmone, nella terza storia.

E quindi, Che suono ha l'attesa? Per rispondere alla domanda, anche un mio cortoascolto di due anni fa, originale in tedesco per il Berliner Hoerspielfestival e versione in italiano per tutti.

Buon ascolto e buon attesa;-)





venerdì 28 novembre 2014

Valore D, punto della situazione

Il 19 novembre sono stata alla Luiss di via Pola a Roma in ascolto delle donne manager al terzo Forum Nazionale di Valore D

L'associazione di grandi aziende nata nel 2009 per promuovere il ruolo della donna nell'impresa e spingerla ai vertici, donna e impresa, ha chiamato a raccolta imprenditrici, ministri, direttori del personale, consulenti.

Interessante perché il fatto di essere femmina si dava per scontato e ci si concentrava su come migliorare l'Italia tutta, dentro e fuori i confini. Interessante perché la collega più preparata e dall'approccio scientifico che avevo accanto si emozionava a scoprire la storia di donne di successo in ambito privato e pubblico, donne che avevano avuto più opportunità di me e lei, certo - chi imprese ereditate, chi l'inglese e i viaggi facili - ma non importa, vincono determinazione e merito e coraggio. E mentre lei si riempiva gli occhi e le orecchie di facce e di nomi, un'altra doveva lasciare la sala anzitempo per riprendere il figlio a scuola e un'altra aveva già lasciato il dolce al buffet perché richiamata in ufficio... Ed ecco lui, ancora una volta, sempre al maschile l'impedimento che invece è risorsa straordinaria per fare cose straordinarie senza ansie e traffico mentale, se solo lo si lasciasse stare: il tempo.

Il tempo di una stretta di mano e due sorrisi e via verso altre sale, incontri, consessi umani, famiglia certo, progetti comunque. Quanta fiducia ripongo allora nella ricerca McKinsey presentata da Giorgio Busnelli, in pratica la dimostrazione che i servizi pensati per il benessere del dipendente portano un misurabile beneficio economico anche alle aziende e che tra questi quello più richiesto è semplicemente, banalmente, il bene più prezioso, sempre lui, il tempo, leggi flessibilità di orario. Che non è part time o telelavoro, non è un lavoro flessibile ma gestione responsabile del lavoro valutato per obiettivi e questioni di merito. Il gelato era proprio buono, peccato che la collega non abbia fatto in tempo ad assaggiarlo.

Questo il programma della giornata e sui tweet accanto alcune istantanee fra foto, link e grafici. E scoprite come proprio su Twitter @Ale_Nigro abbia sintetizzato in un disegno il workshop sul welfare a cui abbiamo partecipato:-)



domenica 16 novembre 2014

La regina del podcast

Ha ricevuto la menzione speciale al Prix Italia e al Prix Europa di quest'anno. Il documentario audio di Charlotte Bienaimé si chiama La reine du podcast e lo sto ascoltando su Arte Radio, meraviglioso.

Le parole ricorrenti sono sorpresa e stupore, quelle dell'ottantaduenne Colette Bertin che racconta la storia di una raccolta sonora che passa con disinvoltura dai pigmei Aka alla scuola alle gocce d'acqua e quelle di noi ascoltatori che la ringraziamo per aver inventato il podcast prima che fosse podcast.

La raccolta sonora dura una vita ed è stata fatta con le vecchie care audio cassette - alzi la mano chi non riconosce il suono secco del rec e play - e la radio da cui provengono i suoni.

"Ça passe par l'oreille mais ça va plus loin que l'oreille".

Mi sarebbe piaciuta un'insegnante di musica come Colette Bertin, che registrava la radio e faceva scoprire ai suoi allievi il piacere del suono, quindi dell'immersione nella realtà.

16 minuti e 27 secondi di buon ascolto;-)


lunedì 10 novembre 2014

Elogio (funebre) di un albero


Sabato mattina ero all’Alberone, quartiere a sud est di Roma, dove fino al giorno prima, il 7 novembre, a via Gino Capponi angolo via Appia Nuova, c’era un grande albero a fare ombra e da punto di riferimento di tutta la zona. Era stato piantato nel 1986 in sostituzione di quello storico che aveva dato il nome al quartiere. Sotto la pioggia battente il grande leccio non ce l’ha fatta, sono rimaste le radici ad ancorarlo a terra, il tronco s’è aperto, la chioma è finita giù e ha fatto pure male ai passanti.

Insomma, sabato mattina ho visto quello che è rimasto, un tronco segato, fa impressione. La cosa più impressionante, però, sono stati gli abitanti del quartiere che, ancora una volta, si sono ritrovati a chiacchierare sotto l’ombra che non c’è più a parlare di lui, dell’albero, dei suoi odori e della sua forza: sembrava l’elogio funebre per l’amico scomparso anzitempo, quello che segna l’infanzia e c’accompagna in ogni altra stagione di vita.


Nel quartiere "Alberone" (Appio Latino), Roma
Ho chiacchierato anche io con loro, prima a bassa voce, per non disturbare un ambiente che non conosco, le loro confidenze, poi sfacciatamente tirando fuori il cellulare con l’auricolare: in diretta per la trasmissione radiofonica Roma… ti amo!, su Radio Città Futura, ho conosciuto il barista Luciano, “la signora che capava i fagiolini”, Mario l’escursionista e quelli che erano seduti accanto a lui, tutti innamorati del loro quartiere e dell’albero che non c’è più ma che vogliono sia ripiantato e soprattutto conservato in vita, stavolta. Tutti ci hanno invitato a rimanere, parlare, scoprire pezzi di Roma che va al mercato, si gode di nuovo il sole, chiede alla badante di dare due spicci all’artista di strada e alla giornalista di tornare a fare due chiacchiere perché è bello. Grazie.

Qui l’audio delle “quick chat” prima delle interviste al mercato e al bar.

“Ogni volta che si entra nella piazza, ci si trova in mezzo a un dialogo”
Italo Calvino, Le città invisibili


domenica 9 novembre 2014

The Berlin Wall of Sound

Oggi facciamo un esercizio di lingua e di storia.
In tedesco l'audio di un'abitante di Berlino Ovest, nata e cresciuta ai tempi del Muro. Oggi è il 25° anniversario della caduta del muro che divideva in due la città. Oggi voleranno via gli ottomila palloncini che sembrano lampioni e che percorrono 15 km sulle tracce del Muro di Berlino: sono stati accesi venerdì dal sindaco Klaus Wowereit che ha dato il via alle celebrazioni per i 25 anni dalla caduta del confine che divise la città per 28 anni.

Berlino, la Porta di Brandeburgo col "muro" di luce 

Katrin, la voce del contributo audio, ci dice che quando era piccola nella sua famiglia non si nominava la DDR ma si parlava piuttosto di "zona" e comunque l'argomento era una specie di tabù. Non capiva il senso della divisione della Germania in due parti e quando col padre andò a Berlino Est passando per quella che era una frontiera, il padre le disse che non si trattava di entrare in un altro paese "Wir fahren nicht in ein anderes Land": la Germania era comunque una. Il Muro, da vicino, faceva paura.

E Soundcloud.com, la piattaforma di condivisione audio fondata proprio a Berlino, festeggia la caduta del Muro con una traccia audio di 7 minuti e 32 secondi, il tempo che percorreva un'onda sonora lungo tutto il muro, 155 chilometri. Nome della traccia audio, The Berlin Wall of Sound. Dentro la traccia le voci, le grida, i rumori di quello che accadeva addosso al Muro.






giovedì 6 novembre 2014

Elogio dei piedi


Nel post precedente raccontavo un'altra esperienza del sentire, quella che passa per una riabilitazione motoria e finisce con la costante definizione di un nuovo equilibrio, affascinante.

Oggi riscopro questa poesia di Erri De Luca e la ripropongo qui, mi piace un sacco.

Elogio dei piedi

Perché reggono l’intero peso.
Perché sanno tenersi su appoggi e appigli minimi.
Perché sanno correre sugli scogli e neanche i cavalli lo sanno fare.
Perché portano via.
Perché sono la parte più prigioniera di un corpo incarcerato. E chi esce dopo molti anni deve imparare di nuovo a camminare in linea retta.
Perché sanno saltare, e non è colpa loro se più in alto nello scheletro non ci sono ali.
Perché sanno piantarsi nel mezzo delle strade come muli e fare una siepe davanti al cancello di una fabbrica.
Perché sanno giocare con la palla e sanno nuotare.
Perché per qualche popolo pratico erano unità di misura.
Perché quelli di donna facevano friggere i versi di Pushkin.
Perché gli antichi li amavano e per prima cura di ospitalità li lavavano al viandante.
Perché sanno pregare dondolandosi davanti a un muro o ripiegati indietro da un inginocchiatoio.
Perché mai capirò come fanno a correre contando su un appoggio solo.
Perché sono allegri e sanno ballare il meraviglioso tango, il croccante tip-tap, la ruffiana tarantella.
Perché non sanno accusare e non impugnano armi.
Perché sono stati crocefissi.
Perché anche quando si vorrebbe assestarli nel sedere di qualcuno, viene scrupolo che il bersaglio non meriti l’appoggio.
Perché, come le capre, amano il sale.
Perché non hanno fretta di nascere, però poi quando arriva il punto di morire scalciano in nome del corpo contro la morte.

mercoledì 5 novembre 2014

E’ tutta questione di equilibrio

E’ iniziato tutto con un infortunio al ginocchio, una contusione banale, una sorpresa estiva diciamo. Un trauma, in effetti. Peccato che il riposo e la ginnastica successiva non abbiano avuto successo e che intanto il corpo smetteva di agire ma reagiva, che è diverso, e si difendeva. Insomma, dopo diversi mesi in cui camminavo col dolore e con le ginocchia che pareva sostenessero chili che non ho, sono ripartita dalle basi, cioè dai piedi, per poi fare il viaggio al contrario: risalire, allungare, sentire il corpo che prende consapevolezza di sé e di come sta nello spazio. E ho scoperto che la ginnastica che faccio si chiama proprio… propriocettiva.

“La sensibilità propriocettiva è una qualità che può essere allenata ed ottimizzata con l'esercizio fisico, ma che perde facilmente di efficienza con l'inattività. La sensibilità propriocettiva può essere pure danneggiata da un trauma. Una distorsione, un danno articolare che interessa i legamenti o un intervento chirurgico possono compromettere la funzionalità di ginocchio e caviglia, articolazioni ricche di terminazioni propriocettive”.

Leggo su internet e sorrido, penso a me durante gli esercizi con l’elastico, la palla, sempre troppo rigida anche da piccola eppure di nuovo elastica se me ne dai l’occasione. Alla ricerca di equilibrio e del giusto tono, e non è una metafora stavolta. Stupita di riuscire a stare in ascolto della respirazione che cambia e di scoprire un muscolo che non sapevo di avere, perfino.

Ecco, stavolta le parole sono senza cuffie, ancora poche perché non voglio disturbare il nuovo assetto che si riforma, il piacere di stare sul pezzo così come su entrambi i piedi, le estreme possibilità di conoscenza, dando a entrambi il giusto peso.